VI DOMENICA DOPO PASQUA

Pubblicato in Domenica Missionaria

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Cristo in noi

 

 

At 8,5-8.14-17

1Pt 3,15-18

Gv 14,15-21

 

Il Vangelo ci parla della nuova situazione in cui viviamo per la potenza della risurrezione di Gesù.

Gesù insegna ai suoi discepoli come devono amare il loro maestro: dice all’inizio del brano evangelico di oggi “se mi amate, osserverete i miei comandamenti” e alla fine “chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”.

Quando si ama veramente una persona, si ama il suo bene e si vuol fare ciò che ella desidera. Se amiamo Gesù allora dobbiamo desiderare di fargli piacere, di onorarlo con la nostra vita, osservando la sua parola, i suoi comandamenti di amore “Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo: di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amato” (Paolo VI) – la parola di Gesù accolta e vissuta diventa il segno visibile del vero legame con Lui.

Uno degli insegnamenti più insistiti del Vangelo è che è necessario far frutto nel Regno di Dio, realizzare la verità in opere concrete, amare operando e operare per amore; obbedire alla volontà dell’amato non in spirito di servile sottomissione, ma con slancio di abbandono dolcissimo e attivo – ancora una volta siamo esortati ad evitare ogni eventuale scissione tra la fede e la vita, la vera fede è sempre operante.

Amare significa rendere noi simili all’oggetto amato. San Paolo dice “essere cristiani” è “essere in Cristo”, ed era talmente in Cristo da dire “non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Santa Caterina da Siena “tutto quello che io voglio amare io lo trovo in Te: se voglio amare Dio ho la tua ineffabile deità, se voglio amare l’uomo tu sei uomo, se voglio amare il Signore tu hai pagato il prezzo del tuo sangue”.

“Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a Lui” si è immersi nel circuito della relazione trinitaria, l’inabitazione della Santissima Trinità è la meraviglia che compie lo Spirito Santo, questa presenza divina nell’anima è un dono dell’amore del Padre ai discepoli di Gesù.

Alla beata Elisabetta della Santissima Trinità un nome che piaceva dare a Dio era ‘l’abisso’; nella profondità abissale di Dio Trinità, Elisabetta volle fissare la sua dimora, lì vivere in comunione e in ‘società’ con i suoi ‘tre’ (così la maestra Itala Mela, a La Spezia, viveva questa spiritualità).

 

Dalla vita del Cristo risorto viene la vita per tutti, grazie all’azione dello Spirito “io vivo e voi vivrete”. Paolo VI: “Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per il suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia”. La vita umana tocca il vertice delle sue possibilità diventando semplicemente divina. Il rigoglìo della vita divina di Cristo in noi, è l’essenza del Vangelo.

Spesso i Padri della Chiesa hanno parlato della divinizzazione dell’uomo; anche i grandi teologi concordano, come san Tommaso, che scrisse “l’unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura umana e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi”.

Pio XII nel suo magistero parla della vita di grazia e di intimità con Gesù. Aveva un amore intenso e ardente a Gesù, capace di immolarlo ad ogni sacrificio; il suo straordinario rapporto con Dio, la sua “vita a due” con Gesù. Nel suo magistero come nella “Mystici corporis” (1943) tratta della nostra unione con Gesù, realtà grande, arcana, divina – e dice che Gesù non dubitò di paragonare questa nostra unione con Lui con quella che unisce Lui al Padre “saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi”.

Questa unione di noi membra con Lui capo, di noi tralci con Lui vite, supera qualsiasi unione: come la grazia supera la natura, come le cose immortali trascendono le cose caduche. Gesù persona viva, l’unione intima sentita ed assaporata con Lui, la nostra trasfigurazione in Lui, sono sicuramente i motivi dominanti del suo insegnamento. È stato chiamato il “papa di Gesù vivo”. Un giorno i giornali portavano la notizia che il papa aveva visto Gesù (ammalato, mentre recitava la preghiera di sant’Ignazio di Loyola “anima di Cristo santificami, corpo di Cristo salvami, acqua del costato di Cristo lavami, sangue di Cristo inebriami, passione di Cristo confortami, nell’ora della mia morte chiamami”, ed è stato guarito).

Si parla della nuova evangelizzazione: sta specialmente nella vita della grazia, la vita interiore, la vita soprannaturale; svuotato dell’elemento “grazia” il Vangelo perde il suo significato e la sua efficacia di salvezza.

 

Ancora il Vangelo ci mostra la nuova situazione in cui viviamo per la potenza della risurrezione di Gesù: Gesù ha aperto l’ultima stagione della salvezza, quella della pienezza dello Spirito in noi.

L’evangelista Giovanni nei tre discorsi di addio parla cinque volte dello Spirito Santo: la prima e seconda promessa sono all’interno del primo discorso (14,6 e 14,26), la terza nel secondo discorso (15,26), la quarta e la quinta nel terzo discorso (16,5 e 16,12).

 

Lo Spirito è Paraclito perché viene in soccorso dei discepoli nella loro lotta contro il mondo, cioè contro le forze del male (Gv 16,7).

Giovanni richiama ai cristiani delle sue comunità questa verità affinché in mezzo alle difficoltà della vita non si scoraggino, non disperino, non perdano la serenità, la pace del cuore, la gioia. Il discepolo crede nell’assistenza dello Spirito e non teme, non si abbatte nemmeno quando deve ammettere che in lui esistono ancora tante miserie spirituali, tante debolezze, tante cattive inclinazioni, è convinto della forza del Paraclito ed è sicuro di non uscire sconfitto. È Spirito della verità: egli è incaricato di introdurre il discepolo alla scoperta di tutta la verità, quindi bisogna rimanere aperti all’impulso dello Spirito che rivela sempre cose nuove – Egli è, per sua natura, colui che rinnova la faccia della terra (Sal 104,30).

I cristiani del tempo di Pietro attiravano la gente, perché erano visti come pieni di speranza – la gente voleva sapere la ragione di tale speranza, della gioia che essi avevano anche quando erano perseguitati. La nostra speranza viene dal dinamismo del mistero pasquale di Gesù, dinamismo che ci viene comunicato dallo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il dono conclusivo di Cristo e deve rimanere con i credenti e nei credenti per sempre.

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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