Es 22,20-26
1 Ts 1,5c-10
Mt 22,34-40
Il Vangelo di questa domenica è breve, ma molto importante perché ci presenta quale sia il più grande comandamento. Matteo racconta che Gesù “aveva chiuso loro la bocca”, aveva messo a tacere i Sadducei che erano venuti da Lui con obiezioni contro la fede nella risurrezione; ora si fanno avanti i Farisei che cercano di essere più bravi dei Sadducei nel tentativo di mettere alla prova Gesù.
Uno dei farisei, dottore della legge, gli rivolge questa domanda: “Maestro qual è il più grande comandamento della legge?” (Mt 22,36). Ma Gesù non ha nessuna esitazione e risponde subito: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti”, poi aggiunge una cosa che non era stata richiesta dal dottore della legge: “e il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso”, e conclude con grande autorevolezza: “da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti”.
Gesù vuole offrire un ideale dinamico, positivo, universale. Ciò che dà uno slancio alla vita è l’amore. Per questo Gesù sceglie due comandamenti dell’amore: il primo è preso dalla famosa preghiera dello “Shemà”: “ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4). È la preghiera che l’ebreo osservante recita tre volte al giorno – Gesù imparò questa preghiera sulle ginocchia di Giuseppe e Maria – questa preghiera attraversò il popolo eletto, poiché era recitato da molti che entrarono nelle camere a gas nei campi di sterminio.
Per il secondo comandamento rimanda al precetto di Levitico (Lv 19,18): “amerai il prossimo tuo come te stesso”; c’è il primo e il secondo comandamento e non tra uno più grande ed uno più piccolo. Nell’Ultima Cena definì il comandamento dell’amore “suo” e “nuovo” (Gv 13,34): “questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12); il che vuol dire che dobbiamo amare gli altri più della nostra vita, perché Gesù ci ha amato più della sua vita, offrendo la sua vita per noi (Albert Uanhoye).
Questi sono comandamenti positivi, comandamenti che danno uno slancio straordinario, perché presentano un ideale molto alto.
Israele, infatti, deve la sua esistenza stessa a Dio e unicamente a Dio: dunque a Dio, e a Dio solo deve rivolgersi il movimento di adorazione e di obbedienza.
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, questo è il più grande e il primo dei comandamenti”. È precisamente
l’entrare in relazione con Dio stesso, attraverso l’amore, che giustifica la grandezza del comandamento; compito inesauribile come suggerisce l’uso della formula al futuro “amerai...”, forma verbale che oltre al valore di imperativo aggiunge pure l’idea di progressività, di incompiutezza. Inoltre, ciò che deve caratterizzare l’amore per il Signore è la totalità, l’integralità della mobilitazione di tutte le energie e capacità del soggetto: “con tutto il cuore...”. Tutte le dimensioni: del desiderare, del comprendere e dell’agire sono coinvolte nell’impresa di amare Dio e questo aspetto concorre ad evidenziare la grandezza del comandamento, grandezza che, a sua volta, si riverbera sul soggetto che ama in tal modo.
Gesù continua e ricorda anche il secondo comandamento, che non gli era stato chiesto, e lo qualifica come simile al primo: “amerai il prossimo tuo come te stesso”. Non si può veramente amare Dio se non si ama ciò che Lui ama, cioè l’uomo: perché l’uomo più che sua creatura, è suo figlio di adozione, erede della sua gloria, figlio di un amore misterioso, profondo, eterno.
Con l’Incarnazione Dio si è in un certo senso unito ad ogni uomo – l’uomo si è così avvicinato a Dio da essere quasi immerso nel flusso del mistero trinitario – ‘il mistero dell’uomo immagine della Trinità’ era il tema di una conferenza di studiosi.
Ecco l’amore a Dio e al prossimo: Dio e uomo sono due realtà indissociabili, l’una richiama necessariamente l’altra, sono due facce di una stessa medaglia. Quindi l’amore con cui amiamo l’uomo deve essere simile all’amore con cui amiamo Dio – Gesù ha messo sullo stesso piano l’amore al prossimo e l’amore a Dio. Anzi si parte dall’amore al prossimo per arrivare all’amore verso Dio: “non puoi amare Dio che non vedi se non ami il fratello che vedi” (1 Gv 4,2). “se ami il fratello vedrai Dio” (Sant’Agostino).
Ma in verità si deve andare al fratello con l’amore che viene da Dio. Un amore al prossimo che non partisse da Dio sarebbe un amore concluso nei limiti dell’uomo. Dio che è amore ci ha creati per farci partecipare al suo amore: per essere amati da Lui e per amarlo, e amare con Lui tutte le altre persone.
Questo è l’ideale umano più alto, ma per raggiungerlo abbiamo un assoluto bisogno della grazia di Dio, abbiamo bisogno di ricevere in noi la capacità di amare che viene da Dio. Il cuore di Gesù ci viene offerto per amare veramente il Padre come Egli lo ha amato, e per amare il nostro prossimo come Egli lo ha amato.
Per i suoi seguaci Gesù ha coniato un nuovo comandamento: “amatevi a vicenda come io vi ho amati”, cioè senza limiti. La carità è come una lampada che deve illuminare, riscaldare non solo i nostri cari, ma tutti coloro che stanno nella casa, nessuno eccettuato, anche i propri nemici.
Cesare Massa nel suo libro “Il tempo del vivere” dice: “amare Iddio significa: averlo come riferimento del desiderio, della nostalgia, dello sguardo del cuore – amare il prossimo significa che nessuno intorno a noi deve sentirsi forestiero, orfano, debole, indigente, solo”.
Gesù ha voluto l’Eucaristia perché il suo amore fosse meglio impresso e stampato in noi.