XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria

Duccio

Apparenza e sostanza

Mt 1,14b-2.2b8-10

1Ts 2,7B-9.13

Mt 23,1-12

Gesù davanti alla folla e ai suoi discepoli parla degli Scribi e dei Farisei (ma anche fra di loro c’erano uomini degni di stima come Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea), non con il gusto di demolire i propri nemici ma ammonire tutti a non imitarli.

San Gerolamo onestamente scriveva “poveri noi ai quali sono passati i vizi dei Farisei”; i Farisei non ci sono più, ma il fariseismo può esserci ancora. Dobbiamo leggere questo brano con occhio buono e trarne motivi di utile umiltà.

“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli Scribi e i Farisei...” Gesù riconosce la loro autorità quindi devono essere ascoltati quando parlano, ma il loro fare non è in conseguenza del loro dire “dicono e non fanno”.

Insegnavano la Parola di Dio - la Legge di Mosè, ma non si facevano servi di questa parola bensì padroni-arbitri, per questo la dottrina risente del peso delle loro ambizioni-pretese, la rendevano odiosa.

Invece quando gli apostoli predicavano si dicono ‘servitori della Parola’ di cui colui che li aveva mandati era il padrone assoluto e il prodigo dispensatore.

Nei primi tempi della chiesa la crescita del Vangelo la si vedeva come manifestazione dell’efficacia della Parola che corre nel mondo, che non si può ridurre in catene,

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come onda di luce come torrente di fuoco, parola di verità, vita, grazia, salvezza.

Gesù sottolinea l’incoerenza loro: “mettono fardelli sulle spalle degli altri, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”; sono abili a trovare scappatoie per se stessi, invece sono inesorabili verso gli altri usando così due pesi e due misure. Ad esempio, circa la legge del riposo festivo, i Farisei la rendevano stretta e quasi crudele, mentre c’è la stupenda e liberatrice affermazione di Gesù: “il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27).

Rendono la religione pesante, opprimente perché consiste solo nell’osservanza esterna della legge; invece Gesù dice che il suo giogo è soave e il suo peso è leggero, con invito ad imparare da Lui che è umile e mite di cuore.

Papa Giovanni: “il cristianesimo non è un complesso di fattori opprimenti, è pace, è letizia, è amore, è vita che sempre si rinnova come il segreto pulsare della natura all’inizio della primavera”. I primi cristiani obbedivano a tutte le leggi, ma con il loro modo di vivere erano superiori alle leggi, trasformando il mondo con la carità operosa.

Poi parla della ricerca di sé: “tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini...” ignorando che il Padre vede nel segreto e scruta le intenzioni e i cuori degli uomini; succede allora che non si vive davanti a Dio sotto il suo sguardo che purifica e corregge, ma davanti agli altri, sotto i loro occhi per suscitare stupore e strappare ammirazione; in questo modo si sacrifica la religione al proprio io e si cerca un rapporto falso verso Dio.

Per fare il bene noi abbiamo bisogno di vivere nell’amore di qualcuno: se viviamo nell’amore del Padre, nel segreto con il Padre, il bene lo faremo in modo perfetto. Essere colmi della presenza segreta del Padre, vivere alla sua presenza-per Lui, è una gioia molto più profonda di ogni gioia umana e che diventa sempre più grande: è la

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vera ricompensa qui sulla terra, caparra di quella definitiva (Albert Vanhoye).

“Ogni piccola azione è un avvenimento immenso nel quale ci viene dato il paradiso e nel quale possiamo dare il paradiso” (Maddalena Delbrel).

Il Signore non si arrende di fronte ai nostri peccati perché la sua misericordia è più grande dei nostri peccati ma si arrende di fronte alla presunzione-superbia: respinge i superbi e invece dà grazia agli umili.

L’umiltà è la virtù che chi l’ha non sa di averla. Come il Pubblicano (Lc 18,13) dovremmo sentire talmente la distanza che corre tra la santità di Dio e la nostra miseria, da neppure osare di alzare il nostro sguardo. San Giovanni Battista: “non sono degno di sciogliere i lacci dei suoi calzari”. La Madonna: “ha guardato l’umiltà della sua serva” il nulla, ciò che non conta. Sant’Alfonso de’ Liguori: “nell’abisso del mio niente”. Teresa de los Andes: “nel mio criminale nulla”.

L’umiltà nasce dal leale riconoscimento della propria pochezza “portate il peso gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso” (Gal 6,3).

La caratteristica dei santi è l’anonimato, vivono nel nascondimento, ma il Signore alle volte li esalta: come la beata suor Maria Assunta Pallotta che si occupava delle mansioni più umili della casa, ma quando morì dal suo corpo emanava profumo, Dio rivelava così la santità di quell’umile suora.

È umiltà che uno pensa di sé, ma umiltà che lo lancia verso il Signore: solo chi è umile è capace di imprese audaci.

Poi il Signore ai suoi apostoli e tramite essi a tutti i cristiani raccomanda di vivere in stile di fraternità e servizio: non vogliate farvi chiamare Rabbì o Padre o Maestro perché questi titoli aspettano solo a Dio e a Cristo.

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Vengono date quindi due motivazioni del comando: anzitutto il riconoscimento di Gesù come unico maestro della comunità cristiana, poi il senso essenziale di fraternità che deve unire tutti i credenti.

Gesù non fa questione di parole, ma si preoccupa di educare lo spirito; devono esercitare il loro ufficio di padri, maestri e di guide in totale dipendenza da Cristo e come umile servizio reso ai fratelli – questo è quello concretamente vissuto da Gesù: servo del Signore che si fa carico delle miserie di tutti, pieno di compassione per il gregge disperso, mite e umile di cuore che chiama a sé gli affaticati e gli oppressi per dar loro sollievo.

Giovanni Paolo II nel giorno dell’inaugurazione del suo pontificato (22 ottobre 1978): “O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore della tua potestà che non conosce tramonto! Fa’ che io possa essere un servo! Anzi servo dei tuoi servi”.

C’è il fariseismo e il fare evangelico: quello del servizio umile, dei gesti semplici e generosi, delle lunghe pazienze, della tenacia della fede pur in situazioni difficili, della capacità di sperare sempre, affidando tutto a Dio. Il vero cristiano è colui che ama queste virtù nascoste, discrete, umili e dolci godendo di sapere che c’è un Padre, quello del Cielo che tutto conosce e comprende.

Nella seconda lettura Paolo ci dà un esempio meraviglioso di questo atteggiamento autenticamente cristiano e apostolico. Paolo si è fatto tutto a tutti, il Vangelo si dona solo per amore e si dona amando: “siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature” (1 Tes 2, 7).

Si sente solo un tramite umile del suo maestro: la parola che Cristo annunciava arriva adesso a coloro a cui viene annunciata, anzi è Cristo stesso che parla, che annuncia.

 

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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