VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Pubblicato in Domenica Missionaria

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Antico e nuovo

Sir 15,15-20

1Cor 2,6-10

Mt 5,17-37

 

Gesù all’inizio della sua predicazione salì su un colle sovrastante Cafarnao e lì proclamò il famoso discorso della montagna, del quale il punto centrale sono le beatitudini. Nel Vangelo di oggi si ha la spiegazione fatta da Gesù stesso sulle beatitudini. Beato non è tanto chi possiede, ma chi è in se stesso e davanti a Dio; non tanto nell’avere ma nell’essere: beato chi è povero in spirito, chi è mite, misericordioso, operatore di pace, puro di cuore – beato è chi si apre a Dio e compie la sua volontà sull’esempio di Gesù che è il primo e vero beato di Dio. Per rendere l’uomo beato, Dio gli ha dato la sua legge – anche nei salmi: beato chi cammina nella tua legge, beato chi è fedele ai tuoi insegnamenti e Ti cerca con tutto il cuore.

Dio ha dato all’uomo le sue leggi per farlo libero e beato. Anche san Roberto Bellarmino “che cosa ci comanda Dio? Di amare Lui, e che c’è di più bello che amare la bellezza, la bontà, l’amore che è Lui? E gli altri comandamenti più preziosi dell’oro e più dolci del miele, più utili all’uomo che deve ubbidire che a Dio che comanda, perché onorano, elevano l’uomo, lo rendono buono e beato”.

Gesù è venuto per liberarci, e proprio perché ci vuole sempre più liberi ha detto “non sono venuto ad abolire la legge e i profeti, ma per dare compimento”. Egli ci mostra la via della vera libertà: è la via dell’adesione alla volontà buona di Dio, dell’adesione alla sua legge non soltanto esternamente ma interiormente, con amore.

 

Il popolo eletto si era fermato tre anni presso il monte Sinai, e Dio dando a Mosè i comandamenti ha detto apertamente come vuol essere servito e amato, e ha specificato chiaramente quello che è già scritto nel cuore dell’uomo (le dieci parole delineano i pilastri della vita morale iscritta universalmente nel cuore dell’uomo) – fa scrivere i comandamenti su tavole di pietra, non come segno di repressione, ma come evidenza della comunione, indice di amore e cura per l’uomo.

I comandamenti rimangono quelli per ogni tempo, ma bisogna osservarli con lo spirito nuovo insegnato da Gesù. Gesù è venuto a completare la legge “sulla morale esistente Gesù versò la dolcezza della carità che è la pienezza della legge, ha mitigato la legge del giudizio con la misericordia, ha aggiunto ai comandamenti i consigli evangelici” (san Tommaso).

Nel disegno di Dio la legge di Mosè era un seme vivo in attesa di ‘compimento’, bisognoso quindi di uno sviluppo che lo conducesse alla perfezione. Gli Scribi e i Farisei avevano trasformato quel seme vivo in un fossile da conservare in un museo, poi si erano dedicati alla sua conservazione con impegno puntiglioso e si erano convinti di essere giusti (l’osservanza dei comandamenti non sta tanto nell’osservanza delle prescrizioni, ma nell’amore a Dio e al prossimo). Gesù mette in guardia i suoi ascoltatori: “se la vostra giustizia non supererà quella degli Scribi e dei Farisei non entrerete nel Regno dei Cieli”.

Gesù nella sua vita e nel suo insegnamento ci ha dimostrato il significato definitivo della legge divina; non è tanto l’osservanza esteriore, ma regolare la mente e la coscienza sui pensieri e sulla volontà di Dio; vivere una fedeltà e una coerenza alla volontà di Dio così come è proposta da Lui, Gesù.

 

Gesù non interpreta la legge, ma rivela le esigenze divine. Per questo dice “avete inteso che fu detto agli antichi: non uccidere...” ma Gesù con l’autorità che gli deriva dalla sua natura divina aggiunge “ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello...”. La legge non intende soltanto proibire l’uccisione o la violenza materiale, ma anche la violenza interiore, l’odio, l’ira, il disprezzo che si può esprimere anche con ingiurie (ci sono parole che feriscono più della spada; la lingua non ha osso, ma rompe le ossa). “Chi pretende di essere nella luce e ha in odio il suo fratello, è tutt’ora nelle tenebre” (Gv 2,9). E non vale mascherare la perversione del cuore con atti di culto a Dio “chi infatti non ama il fratello suo che vede, come può amare quel Dio che non vede?” (1 Gv 4,20).

Gianfranco Ravasi: Gesù esige paradossalmente che il cristiano non acceda al culto se prima non ha totalmente ricomposto l’armonia col suo prossimo. È terribile questa indicazione se pensiamo al reticolato di divisioni e di odi sottili che serpeggiano nelle nostre assemblee eucaristiche: “poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo... altrimenti vi radunate a vostra condanna” (1 Cor 10,17).

Non si tratta infatti di “pagare le tasse” a Dio ma si tratta del desiderio, della gioia di piacere a Lui in tutto. I contrasti possono sorgere, sono anzi inevitabili, però chi li sperimenta deve risolverli con carità finché è in vita, altrimenti sarà gettato in prigione e non uscirà di là finché non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo.

La teologia trova in queste parole del Signore l’argomento per dimostrare l’esistenza del Purgatorio: se quello da pagare sono degli spiccioli, se invece sono colpe gravi gli spiccioli non basterebbero più. L’amore fraterno è una vetta sublime e luminosa, il suo contrario è un abisso tenebroso.

 

Quindi ci fa vedere il vertice dell’amore fraterno, poi le altezze della morale sessuale e coniugale. Anche qui parte dall’interno dell’uomo, dal cuore e dall’intenzione. È un invito alla lucidità e alla verità, una coerenza tra il pensare e l’agire perché la grandezza e la verità dell’uomo è tutta di dentro. Gesù dice che prima dell’adulterio del corpo c’è quello dello spirito: c’è l’adulterio del corpo e l’adulterio del cuore. La legge di Dio educa l’uomo dal profondo, lo raggiunge nelle radici dello spirito, là dove Dio interroga e l’uomo risponde.

San Bernardo “la croce dell’uomo spirituale è la carità, quindi sulla croce come sul cuore dell’uomo spirituale pende ogni giorno Gesù. Egli per noi si è degnato di salire in croce, per questo ci invita a raggiungere la perfezione della sua carità”. Gesù vuol riportare il matrimonio a tutto il suo splendore di donazione totale e gioiosa, di segno dell’amore stesso di Dio.

“Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo cavalo e gettalo via...” questa espressione è per dire che senza la rinuncia non si può osservare la legge: la legge è l’incontro della volontà sovrana di Dio e della volontà dell’uomo, il cristiano deve essere disposto alla rinuncia. La legge della croce è secondo il Vangelo la legge fondamentale per ogni fecondità spirituale e il suo più genuino sapore (Salvatore Garofalo).

Poi c’è l’altissimo valore della parola: l’uomo è tentato a dar forza alle sue parole col ricorso al giuramento; ma questo metodo, fatte le debite e gravi eccezioni, è immorale; la parola è già forte per se stessa, ha carattere sacro. Ma il Signore istruisce non con le lettere della legge ma con la grazia dello Spirito Santo, perché chi viene istruito abbia la forza di compiere ciò che ha imparato. Chi è illuminato dallo Spirito di Dio vede le altezze della morale cristiana senza spaventarsi, le ama, le vuole raggiungere ed è sorretto dallo Spirito nelle ascensioni che si è proposto. “Il Signore Dio è la mia forza, Egli rende i miei piedi come quelli delle cerve e sulle alture mi fa camminare” (Ab 3,19).

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12
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