Ef5,8-14
Gv 9,1-41
Il Vangelo ci racconta l’episodio del cieco nato, che ha ritrovato la gioia grazie alla guarigione operata da Gesù. Gesù si incontra con un cieco nato a Gerusalemme, forse nelle vicinanze del Tempio. Senza che il cieco ne invochi l’intervento, Gesù si accinge a guarirlo.
Gesù passando lo guarda e si ferma (nello sguardo di Gesù che si posa su quell’uomo è possibile intravedere tutta la tenerezza e la misericordia con cui Dio avvolge la vita di ogni uomo: “lo vide con l’occhio della misericordia (san Gregorio Magno). Sant’Agostino dice:“aveva gli occhi chiusi, ma non per questo i suoi desideri erano spenti che non sfuggono al giudizio di colui che scruta i cuori”. Anche i discepoli si fermano assieme a Lui a guardare il cieco nato e pongono la domanda “Rabbì chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché egli nascesse cieco?” (nel mondo antico era diffusa la credenza che ogni malattia o sciagura fosse pena di un preciso peccato) – il maestro rifiuta questo pensare e dice che è piuttosto una occasione perché gli uomini riconoscano l’inviato da Dio, venuto a compiere sulla terra l’opera di salvezza del Padre (le nostre prove, le nostre sofferenze sono una occasione per Lui di manifestare il suo amore e la sua misericordia).
Poi fa una specie di medicamento: sputa per terra, fa del fango con la saliva, lo spalma sugli occhi del cieco e gli dice “va a lavarti nella piscina di Siloe” – durante la festa delle Capanne, memoria gioiosa del soggiorno di Israele nel deserto, vi si attingeva processionalmente l’acqua, simbolo dei benefici messianici. Siloe significa “inviare” quindi ha un riferimento a Gesù, il Messia inviato da Dio per portare al mondo la luce della piena rivelazione. Il cieco obbedisce a Gesù: va alla piscina, si lava e torna che ci vede.
Il centro del racconto, però, non è costituito dal miracolo in sé ma piuttosto dal dibattito provocato da esso. La gente meravigliata si chiede se è veramente il cieco nato quello che vede o se è un altro che gli assomiglia, ma il cieco afferma con decisione “sono io, quell’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto va’ alla piscina di Siloe e lavati!”. La guarigione del cieco scatenò un putiferio nel Sinedrio e tra i Farisei, non volevano credere al miracolo, mettevano sotto accusa Gesù e lo stesso miracolato, ma questi compie un ulteriore passo che lo porterà al riconoscimento di Cristo, dichiarando che il suo guaritore non può essere che un profeta, dal momento che si dimostra in possesso di poteri sovrumani. Poi compie un altro passo sul cammino della fede quando l’ex cieco se la spassa nel vedere i giudici impigliati nella rete e li prende addirittura in giro perché non riescono a capire che Dio non può avallare l’operato di chi non gli sia gradito, perciò afferma che nessuno è mai stato, come Gesù, uomo di Dio. “Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato, se costui non fosse da Dio non avrebbe potuto fare nulla”.
Il miracolato dopo aver dato testimonianza a Cristo e aver sofferto per essa, giunge alla piena fede perché Gesù stesso lo cerca per rivelarsi a lui come Figlio dell’uomo venuto dal cielo a riportare l’umanità a Dio, il cieco nato felicissimo dichiara di credergli e gli si prostra con suprema riverenza. Questo cieco nato risulta una delle figure più libere del Vangelo, ricco di simpatia, di intelligenza, di umorismo: “comportatevi perciò come i figli della luce: il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5,8).
Al primo incontro era stato Gesù a guardare il cieco senza che questi potesse ricambiare lo sguardo e quando egli era tornato dalla piscina guarito, Gesù non c’era più; nel secondo incontro invece lo sguardo è reciproco, ora il cieco ci vede, Gesù sta davanti a lui e lo guarda, e anche il cieco ora guarito guarda Gesù. In questa reciprocità di sguardo si realizza l’incontro della fede, (la fede è l’incontro tra la parola di Dio e il nostro cuore). La fede è l’incontro con Gesù come Figlio di Dio: “tu credi nel Figlio dell’uomo?” domanda Gesù al cieco guarito che lo guarda. Ancora una volta l’uomo si lascia guidare dal suo istinto pratico: “e chi è Signore perché io creda in lui?”. All’autorivelazione di Gesù “tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui” segue l’adesione piena e incondizionata “io credo Signore” completata dal gesto di adorazione.
Il cieco nato è giunto a vedere Gesù con gli occhi del corpo e con gli occhi della fede (Pascal e Kierkegaard dicono che l’uomo è stato creato libero perché potesse fare un atto di fede). Gesù vide un cieco nato: ecco gli occhi di Dio, Dio è luce e ha inventato gli occhi (la luce inventa gli occhi). Dio disse “sia la luce!” e la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre, e chiamò la luce giorno e le tenebre notte (Gn 1,3).
Con gli occhi vediamo le cose che sono raggi riflessi della bellezza di Dio “le opere di Dio rivelano chi egli è in se stesso, e inversamente, il mistero del suo essere inti70 mo illumina l’intelligenza di tutte le sue opere (Catechismo n. 236). Le creature sono una scala che ci porta a Dio “e così la nostra anima, sollevandosi dalla sua debolezza e appoggiandosi alle tue creature trapassa fino a Te loro mirabile creatore, e lì trova ristoro e vigore vero” (sant’Agostino). Poi c’è la luce dell’intelligenza – con essa crediamo a quanto la Bibbia dice: “ci sono molte cose nascoste più grandi di queste: noi contempliamo solo poche delle sue opere. Il Signore infatti ha creato ogni cosa, ha dato la sapienza ai pii” (Sir 43,32).
Pascal Biagio “l’ultimo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è una infinità di cose che la superano; essa è debole se non arriva a capire questo”. Poi c’è la luce della fede “la beatitudine della fede che con la luce divina raggiunge la verità” (Jean Galot).
Ecco che nell’Atto di Fede c’è una conoscenza per connaturalità, ecco fedeli sicuri di ciò che credono e che forse con le parole non sanno dire: fede schietta, come dice Paolo a Timoteo “ricordo la fede schietta di tua nonna” (2 Tim 1,5).
I monaci hanno come simbolo il gufo perché con i suoi occhi grandi vede nelle tenebre; così chi ha fede è come l’uomo dagli occhi grandi per scrutare dentro l’invisibile; la fede definita da don Primo Mazzolari “l’occhio di Dio sugli avvenimenti”. La storia dell’uomo nato cieco appare sette volte nell’arte primitiva delle catacombe, serviva in preparazione del Battesimo. Come il cieco guarisce lavandosi nella piscina di Siloe, così Gesù continua ad illuminare gli uomini nel Battesimo “lavò dunque il cieco gli occhi in quella fonte che si traduce “inviato”, fu battezzato così nel Cristo” (sant’Agostino). Il battesimo è detto il sacramento della fede “illuminazione” e i battezzati sono detti illuminati, figli della luce. Il Battesimo è un flusso di luce e di grazia, e la vita cristiana è un salire di luce in luce fino alla luce eterna.