Luca, dice Dante, è lo scrittore della misericordia di Dio e queste tre parabole sono la quintessenza del suo messaggio di bontà.
L’accento posto sulla consistenza del gregge, dà risalto all’amore di Dio anche per il singolo peccatore che perde.
L’accento posto sull’esiguità della moneta persa, denota il dolore anche per ogni piccola defezione che ci allontana da Dio.
Due parabole gemelle per struttura e stile: stesso interrogativo, stesso tema, stessa antitesi, perdere e trovare, la stessa gioia condivisa com’unitariamente con amici e vicini. Le due parabole preludono così all’amore del Padre, alla sua ansia, alla sua attesa, alla sua gioia, alla sua festa con i familiari.
E di tutte e tre le parabole la più bella è certamente quella del figlio prodigo. Forse sarebbe meglio chiamarla la parabola del padre misericordioso, il padre prodigo d’amore. Un padre che comprende il desiderio di libertà, accondiscende con amarezza, attende con ansia, e fa gran festa al figlio perduto e ritornato. Un padre che soffre per l’incomprensione del figlio maggiore, rimasto sempre a lui fedele.
La parabola è un capolavoro di psicologia. Luca, o meglio Gesù, inizia la parabola con un accento di tenerezza: è il figlio minore, il beniamino. Poi nell’evolversi della crisi lo definisce il dissoluto. E infine la crudezza del fratello maggiore che precisa con cattiveria e con disprezzo: questo tuo figlio ha divorato tutto con le prostitute.
E la risposta del padre: ma tu sei sempre con me. Figlio, tutto ciò che è mio è tuo.
E con questa figura del fratello maggiore ossequiente al padre ma senza cuore, fermo sulla soglia della casa, sordo alle richieste del padre, Gesù condanna l’intransigenza di scribi e farisei ostili ai peccatori.
Sappiate essere misericordiosi come il Padre vostro celeste, invita Gesù. Il filosofo spagnolo Michel de Unamuno scrive: “Finché alla vista del più orrendo misfatto non ti sgorgherà nel cuore il grido: povero fratello, vorrà dire che il cristianesimo non ti è penetrato oltre la corteccia dell’anima”.
Ma ciò che più ci conforta in questa parabola è l’ansia, il dolore, la gioia del padre, simbolo dell’amore misericordioso di Dio.
Purtroppo la nostra vita è costellata dal peccato che ci allontana da Dio ma ci consola il pensiero di un Padre dolcissimo che ci aspetta, di un fratello maggiore, Gesù, che ci aiuta in questo ritorno, di Maria che, mamma misericordiosa, intercede per noi.
Questa bellissima pagina lucana, intrisa di amore e di dolore ma soprattutto di gioia, ha sempre conquistato la tradizione nell’arte, nella musica, nella letteratura, nel cinema. E più ancora di ogni finzione artistica e letteraria sta la realtà della grandi conversioni: Davide, Agostino.
San Ambrogio dalla melliflua voce così commentava il ritorno del figliol prodigo: “Alzati figliolo, il Padre ti corre incontro, ti si getta al collo, ti fa festa. E coerente al suo commento, Ambrogio, scrive il suo biografo Paolino, accoglie Agostino pentito.
Agostino Aurelio, cocco di papà e di mamma Monica, il figlio fuggito con inganno dalla mamma in ansia; allontanandosi oltre mare verso la metropoli, avido di gloria e di denari, tre volte concubino e con un figlio illegittimo. Il raffinato retore a Milano è stravolto dalle semplici e fioche parole del vescovo Ambrogio, fiducioso delle preghiere della mamma in lacrime.
Riconciliato con il Padre eterno, lascia i truogoli milanesi e torna alla cara Africa ove scrive la mirabile lettera a Dio, il noto libro delle Confessioni. Confessioni di un peccatore che si batte il petto, gioioso per la misericordia di Dio che lo ha accolto.
Nella parabola manca la figura della madre. Ma non manca nella nostra vita intrisa di peccato: Maria, Madre di misericordia.