Attorno alla Parola: XXXIII Domenica del Tempo ordinario

Pubblicato in Domenica Missionaria
{mosimage}La liturgia si presenta come uno sviluppo ulteriore della vigilanza-attesa, presentata però qui come un impegno personale sul consacrare le proprie capacità a servizio del Signore per il bene dei fratelli.

Il racconto ha il suo obiettivo nelle ultime battute. Il servo si presenta forse apparentemente tranquillo: i suoi conti sono in regola, è a posto di coscienza, non ha frodato, ha quindi la giustizia dalla sua.

Fuori dalla parabola: la vita religiosa del nuovo popolo di Dio è caratterizzata non dalla osservanza esatta e meticolosa dei farisei, bensì da uno spirito filiale di amore e di libertà del Cristo.

Eucaristia: ad ogni messa il Signore continua ad affidarmi beni preziosi, la parola e il pane eucaristico.

Chiediamoci con quale intensità e profondità essi agiscono nella nostra vita e se le nostre capacità siano messe al servizio del Signore e della comunità.

La porta della felicità si apre solo verso l’esterno: chi tentasse di forzarla in senso opposto non farebbe altro che rinchiuderla sempre di più.

E’ un gesto di fiducia quello del padrone, cui deve corrispondere un gesto di generosità e di operosità trafficando i beni del Padrone come fossero propri. A chi risponde, il Padrone non solo dà maggior autorità, ma ancora di più fa partecipe della sua gioia.

Impegniamoci a migliorare ciò che il Signore ci ha dato: noi, il nostro ambiente che ci circonda, gli altri, in maniera degna di riceverlo quando Egli verrà e ce ne domanderà conto.

Il talento era una misura-peso monetario del peso di 42 kg, una specie di gigantesco pomo. Se il talento era d’argento ci troviamo di fronte a somme favolose che del resto costituivano tutto l’avere del padrone. Il talento equivaleva a 60 mine e 3000 sicli.

I talenti sono affidati ai servi secondo le loro capacità produttive. I primi due raddoppiano il capitale, il terzo è preso da rancore e paura e con insolenza risponde al padrone: “Sapevo che sei un duro ed un esoso”. Ci troviamo di fronte a due servi che fanno i propri interessi e quelli del padrone e sono ricompensati con un aumento di responsabilità; il terzo, deludendo le aspettative, determina la propria fine.

Il premio e la pena hanno un chiaro significato escatologico. Ai primi il padrone dà di “entrare nella gioia”, ossia di “prendere parte al convito celeste”, di entrare nell’intimità del Signore, vita eterna.

In cambio del “poco bene terreno” avranno il molto dei beni celesti, “un tesoro nei cieli”.

Il castigo del servo infingardo è bollato con le tipiche metafore del “pianto e stridore di denti”.

Il mondo, avvolto in una frenetica attività, seppellisce a volte i disegni di Dio e tende solo al proprio benessere; il Vangelo esige invece un’attività che corrisponda al disegno di Dio e al benessere reale che Dio ha deposto nel nostro animo con il dono della vocazione battesimale di una nuova vita in Cristo; occorre far fruttare questo dono. Ognuno di noi porta in se dei doni, dei talenti da far fruttificare. A ognuno di noi, dice l’apostolo Paolo, è data una grazia. Ciascuno di noi deve mettere i doni di Dio a servizio degli altri perché siamo amministratori della molteplice grazia di Dio.
Ultima modifica il Sabato, 07 Febbraio 2015 21:54

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