Seconda domenica di Natale – Anno C. Predisporsi ad accogliere la Sapienza e la Parola

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Sir 24,1-4.12-16;
Sal 147;
Ef 1,3-6.15-18;
Gv 1,1-18.

Le tre letture ci fanno comprendere il nostro essere privilegiati dal fatto che Dio ci ha concesso la sua stessa Sapienza, come nella prima lettura e la sua stessa Parola, come sottolinea l’evangelista Giovanni nel suo Prologo. Poiché sia la Sapienza, sia la Parola sono legate a Dio e sono preesistenti al mondo, anzi erano con il Signore nella creazione del mondo. Nel Siracide la Sapienza fa l’elogio a se stessa indicando chiaramente “prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno” e Giovanni, parlando del Verbo, della Parola, dirà “Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. A noi è affidata la missione di accogliere il Verbo per diventare “figli di Dio”, poiché “a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.

Chiamati ad essere illuminati dalla Sapienza - Parola (Verbo)

L’autore del Siracide è come ci dicesse che se volessimo avere in noi la sapienza di Dio, dovremmo da Lui lasciarci ammaestrare. La sua sapienza va innanzitutto ascoltata per essere esaltata, ammirata e lodata. Essa deve “fissare la tenda” e prendere eredità in noi. La sapienza è la bellezza, la forza, il profumo della presenza di Dio nel mondo. I nostri sensi (vista, tatto, olfatto, gusto, udito e ogni altra dimensione della nostra sensibilità e intelligenza, mente e cuore) possono svegliarsi alla sua bellezza e alla sua bontà. Per questo il Siracide paragona la Parola di Dio al maestoso cedro, al cipresso, alla palma, alle piante di rose, all'ulivo, al platano, al terebinto dai rami «piacevoli e belli» (v. 16). La sapienza illumina l’uomo, pertanto questi è chiamato a porsi in ascolto della sapienza con un atteggiamento che Ben Sira definirà efficacemente “timore di Dio”. Dobbiamo dunque vivere con la sapienza e imparare la sapienza poiché “la Sapienza di Dio ispira la felicità”. Lo stesso dirà Giovanni nel suo Prologo, parlando del Verbo e della Parola.

Leggendo il Prologo dell’evangelista Giovanni ci si rende conto che l’autore, nel comporlo, aveva davanti ai suoi occhi l'immagine della Sapienza a cui fa riferimento la prima lettura. Per Giovanni, Gesù è la Sapienza incarnata, “la Parola (Verbo) fatta carne”, quella che esisteva prima dei secoli, fin dal principio e che era presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. È lo strumento attraverso il quale, per mezzo del quale, tutto esiste. È quella Parola che esce dalla bocca di Dio e attraverso di essa l’uomo entra in comunione con Dio per vivere armoniosamente sia con Dio che con i fratelli e con l’universo. La Parola è vita e luce degli uomini.

L’evangelista afferma che nella Parola era la vita per significare che l’uomo ha la sua origine nella vita della Parola e che questa Parola è un dono di Dio per mezzo di Cristo e in Cristo partecipiamo alla comunione e all’essere di Dio. L’uomo è creato in vista di un grande progetto di Dio che contiene vita poiché “quello che viene da Dio produce vita”. Chi ha vita e chi è nella vita è in comunione con Dio, chi non ha vita – attenzione, ci avvisa l’evangelista! – non è in comunione con Dio.

Giovanni non dice soltanto che la Parola era la vita: ma anche che questa vita era la luce degli uomini: l’uomo che ha la vita, riceve da Dio il suo essere luce. Per la tradizione biblica, la luce è immagine e simbolo di Dio. Questa luce è esterna agli uomini e penetra al loro interno. Se io sono lontano da Dio, non ricevo la sua luce, invece se sono vicino, lo accolgo, quella sua luce mi pervade e mi avvolge, mi scalda e mi illumina, mi fa comprendere me stesso.

Siamo chiamati ad essere illuminati dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre lottano per eliminarla, ma questa luce riesce ad avere il sopravvento e a vincere. Dobbiamo dunque accoglierLa.

Accogliendo la Sapienza e la Parola

Nel mezzo del Prologo c’è il verbo accogliere. Parlando del Verbo/Parola l’uomo è libero di accoglierlo o non accoglierlo. Infatti, il Verbo che è vita e luce “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Accogliere è verbo che genera vita, perché l'uomo diventa ciò che accoglie in sé. L’uomo deve accogliere la Sapienza, la Parola che è vita e luce. Per diventare vita, luce, in una parola figli di Dio, dobbiamo accogliere Gesù nella nostra vita, seguendo i suoi insegnamenti. Dobbiamo accogliere e cioè “credere in lui”.

Il discepolo missionario, come ha fatto rilevare giustamente Papa Francesco è colui che accoglie la Parola e si lascia trasformare da essa poiché è vita e luce. Per Papa Bergoglio “siamo chiamati a spalancare la porta del nostro cuore alla Parola di Dio, a Gesù, per diventare così suoi figli…. È l’invito della santa Madre Chiesa ad accogliere questa Parola di salvezza, questo mistero di luce. Se lo accogliamo, se accogliamo Gesù, cresceremo nella conoscenza e nell’amore del Signore, impareremo ad essere misericordiosi come Lui. Specialmente in questo Anno Santo della Misericordia, facciamo sì che il Vangelo diventi sempre più carne anche nella nostra vita. Accostarsi al Vangelo, meditarlo, incarnarlo nella vita quotidiana è il modo migliore per conoscere Gesù e portarlo agli altri. Questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: indicare e donare agli altri Gesù; ma per fare questo dobbiamo conoscerlo e averlo dentro di noi, come Signore della nostra vita. E Lui ci difende dal male, dal diavolo, che sempre è accovacciato davanti alla nostra porta, davanti al nostro cuore, e vuole entrare”.

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