I miei occhi hanno visto

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LEGGI

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2, 22-32)

RIFLETTI

Un giorno un padre di famiglia benestante portò suo figlio in viaggio con il fermo proposito di mostrargli quante persone vivessero in modo differente da loro, e quanto povere fossero alcune famiglie.
Arrivati passarono tutto un giorno e una notte in una umile casa di una famiglia molto povera.
Quando tornarono da questa esperienza, il padre chiese a suo figlio:
- Come ti è sembrato il viaggio?
- Molto bello, papà!
- Hai visto come vivono i poveri?
- Si !!!!
- E cosa hai imparato? gli chiese
Suo figlio, allora gli rispose:
- Ho visto che noi abbiamo un cucciolo di cane in casa e loro ne avevano quattro.
- Noi abbiamo una piscina che occupa mezzo giardino e loro hanno un fiumiciattolo infinito.
- Noi abbiamo un solarium illuminato con luce, loro avevano il cielo, con tutte le stelle e la luna.
- Noi abbiamo un giardino con un cancello di ingresso, loro avevano un bosco intero.
Mentre il piccolo stava rispondendo, il padre, stupito, non poteva articolare una sola parola. Suo figlio aggiunse:
- Grazie papà, per avermi mostrato quanto siamo poveri...

PREGA

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so.
Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori. Ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone, e scendere giù per le gole di Giudea, lungo i sentieri profumati di menta. Per noi ci vuole molto di più che una mezzora di strada. Dobbiamo superare le distanze che ci separano anche se abitiamo nella stessa casa, se stiamo gomito a gomito. Distanze fatte di lunghi silenzi, di incomprensioni mai risolte, di divergenze e allontanamenti.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so.
Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d'Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze; rinunciare ai calcoli smaliziati del nostro egoismo; superare i pensieri e i desideri che ci contrappongono; combattere con convinzione i vizi che turbano la nostra pace.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so.
Molto più difficile di quanto sia stato per i pastori. Ai quali, perché si mettessero in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvolti. Per noi, disperatamente in cerca di pace nelle nostre case e nei nostri cuori, ma disorientati da sussurri e grida che ci raggiungono da tante distrazioni e riempiono la nostra vita, e costretti ad avanzare a tentoni dentro infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.
Andiamo fino a Betlemme. E un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so.
Ma questo, che dobbiamo compiere «all'indietro», è l'unico viaggio che può fare andare «avanti» la nostra famiglia, sulla strada della felicità. Quella felicità che stiamo inseguendo già prima del giorno del matrimonio.
Andiamo fino a Betlemme, come i pastori.
L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto! E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità umana dei nostri familiari, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso. Perché, da quel primo Natale, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio.
Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù nell'amore della nostra famiglia e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà illuminato di stelle. E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

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