Messaggio del Superiore Generale
per il 120° Anniversario della Fondazione dell’Istituto!
29 gennaio 2021
“L’esperienza di comunità, di cui vissi tutta la vita, voglio applicarla all’Istituto. Abbiate dunque lo spirito dei Missionari della Consolata nei pensieri, nelle parole e nelle opere”.
“...Ripigliamo a correre la strada della santificazione nostra, sotto gli occhi della nostra SS. Consolata.” (Beato Giuseppe Allamano)
Carissimi missionari, amici, familiari, benefattori;
Come da tradizione il 29 gennaio ricordiamo l’anniversario della Fondazione del nostro Istituto. Questo anniversario arriva in un tempo particolare della nostra storia segnato dalla pandemia del Covid-19. Inoltre, proprio il 29 gennaio vogliamo dare inizio al Biennio “di attenzione alla persona nella sua integrità umana, spirituale e missionaria” (cfr. Atti XIII CG n. 33).
La situazione particolare che stiamo vivendo a livello mondiale e il lancio del Biennio a livello d’Istituto sono un’occasione per prendere in mano la nostra vita, il nostro senso di appartenenza alla comunità e la nostra missione.
“Ci rendiamo conto che riscoprire il senso di appartenenza all’Istituto, i valori della nostra famiglia ed il senso di identificazione con il carisma è di cruciale importanza per vivere bene e felicemente la nostra vocazione di apostoli, come le figure della Beata Irene Stefani e di altri missionari e missionarie ci hanno testimoniato con il dono della loro vita.” (Atti XIII CG n. 18)
Certamente tanti pensieri ci abitano in questo tempo così complicato e particolare. Personalmente, approfittando dell’anniversario della Fondazione, vorrei portare l’attenzione al recupero del senso di sentirsi a casa, di sentire l’Istituto come casa propria, “casa mia”. Solo se “indossiamo” la nostra casa, solo se “addomestichiamo e sposiamo” la nostra casa, con le persone che la abitano, possiamo sentirci realizzati e felici ed allora saremo capaci anche di cambiare!
Ogni volta che partecipo ad un incontro, un convegno, una giornata di studio su temi legati all’uomo o alla società, oppure ascolto un superiore di comunità e di Circoscrizione emergono alcune parole, sempre le stesse: individualismo, solitudine, assenza di relazioni, difficoltà di costruire una vera ed autentica comunità. Questi concetti vengono ripetuti sia che si parli di giovani che di anziani, di persone sane o di malati, nelle diverse situazioni culturali.
Certamente in tutto questo c’è molta verità. La nostra società, oggi, rischia di promuovere un certo individualismo che genera solitudine, malessere, egoismo e questo si ritrova presente anche nelle nostre comunità.
Tuttavia, non vi è dubbio che la persona umana sia fatta per la dimensione comunitaria; ogni persona ha bisogno di donare amore e di essere amata, di essere capita, accolta, di curare e di essere curata.
La regola della comunità è l’amore, il bene dell’altro. Il bene degli altri non è mai un male per me; il bene è bene, sempre, per tutti. La dimensione comunitaria è una ricchezza, in ogni circostanza. Le cose fatte insieme sono più belle, più ricche, più varie, più divertenti, più efficaci e coinvolgenti di qualunque altra cosa. La comunità ha bisogno di tutti, tutti sono importanti e in questa importanza riscopriamo la nostra bellezza.
Il nostro Dio è una comunità, una famiglia composta da tre persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: la Santissima Trinità.
Tuttavia, tutti sappiamo che la vita comunitaria ha un prezzo, non è un fatto del tutto spontaneo. Se vogliamo godere dei benefici della vita in comune dobbiamo essere disposti a far morire una parte di noi, a rinunciare ad alcuni nostri desideri, ad una parte dei nostri progetti; la comunità ha bisogno di pazienza, di silenzi, di passi indietro, di capacità di chiedere scusa, di tanta umiltà. Solo morendo si può risorgere. La comunità è un luogo, forse l’unico dove si può sperimentare insieme la morte e la resurrezione, la fatica della croce ma anche la gioia, la luminosità, la freschezza, il profumo della rinascita, di una vita nuova. Una comunità vera è una ricchezza anche per le altre persone, per chi è esterno alla comunità; è una fonte capace di dissetare anche altri che ad essa si avvicinano, assetati e incuriositi; l’amore e la luce che nascono da una comunità scaldano ed illuminano il freddo di molte tenebre. Tutti possiamo essere costruttori di comunità: sarebbe la più grande opera che possiamo fare.
E, forse, qualcosa del genere doveva aver compreso anche Giovanni, un povero che abbiamo aiutato in un Natale di alcuni anni fa. Quando Babbo Natale tirava fuori i pacchetti, Giovanni si avvicinò al volontario seduto accanto a lui, quasi schernendosi: “a me non mi conosce nessuno, sibilò tra i denti, per me regali non ce ne sono”. Ma quando dal sacco emerse l’ultimo regalo e sopra vi vide scritto “Giovanni”, gli occhi di quell’omone, indurito dalla vita per strada, si riempirono di lacrime: “questo, disse, dev’essere il regalo di Dio, perché solo Dio conosce il mio nome”.
L’augurio, la preghiera, l’invito è che possiamo vivere questo anniversario di Fondazione recuperando il nostro senso di appartenenza, di sentirci parte, protagonisti della nostra famiglia, della nostra comunità, conosciuti e chiamati per nome, costruttori di un Istituto sempre più “nostro”, sempre più “casa mia”!
A tutti e ad ognuno: Buona festa della Fondazione, coraggio e avanti in Domino!
P. Stefano Camerlengo, IMC - Superiore Generale
Roma, 25 gennaio 2021, Festa della conversione di S. Paolo