Letture:
Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14: “Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”
La tenerezza di Dio: Muluku t’amayi = Dio è madre
Il Natale è per eccellenza la festa della tenerezza di Dio. Un Dio che è madre, come si usa dire nella lingua del mio popolo makhuwa (Muluku t’amayi = Dio è madre). Nel meditare la narrazione lucana, vorrei soffermarmi ai soli gesti di tenerezza compiuti da una giovane donna diventata madre: è lei che ha avvolto in fasce il suo bambino e l’ha deposto nella mangiatoia. Prima di tutto, come mi ha fatto notare una mamma amica, viene, come uno dei gesti della tenerezza, il dare la luce. Maria diede alla luce un figlio cioè dare la vita che è anche, tra l’altro, avere cura dell’altro, far nascere. Far nascere una nuova vita, una nuova relazione. È questa vita, questa relazione – madre e figlio – che Maria prendi cura avvolgendo e deponendo in una mangiatoia.
Dare la vita, avvolgere e deporre, tre gesti tra i più amorevoli, affettuosi che dovremmo imparare. Per Luca, il bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, diviene un segno potente ed è talmente colpito da tali gesti di amorevolezza che ne parla per ben tre volte.
Luca descrive semplicemente quello che Maria fa: come prima azione avvolge il suo neonato, poi l’angelo del Signore va ad annunciare ai pastori che quello è il segno che dovranno cercare: “troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” infatti, questi andarono e, infine, “trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”.
Avvolgere è quel gesto naturale di una madre alle prese col suo piccolo da accudire con amore. Luca afferma che Maria lo “avvolse in fasce” giustamente per mettere in evidenza la nascita del tutto ordinaria di Gesù. Così avvenne, per esempio, per il re Salomone “fui allevato in fasce e circondato di cure” (Sap 7,4). Gesù appena nato è “avvolto in fasce” (Lc 2, 7.12) come accadrà alla morte.
Il neonato è nudo e la sua giovane madre lo stringe, “lo avvolge” per coprirlo, difenderlo, sostenerlo, tutelarlo. Maria lo difende da tutti i possibili danni o svantaggi che quel povero luogo poteva causare al suo neonato indifeso ed esposto. Il gesto di Maria va pienamente compreso: il suo bambino non è solo piccolo, un nuovo nato, ma viene al mondo in un contesto particolarmente difficile, nel quale nessuna madre vorrebbe trovarsi. Il Dio che si è fatto carne, che si è fatto uno di noi, è fragile e nudo, pertanto, viene coperto della tenerezza di una giovane madre, Maria custodisce, avvolge il suo bambino sia quando è ancora nel suo grembo, sia quando è nato.
Maria, mentre avvolge la nudità del bambino, diviene l’icona della tenerezza eterna del Padre verso il Figlio e verso l’umanità misera e fragile. Infatti, la nudità sintetizza simbolicamente ogni nostra miseria e fragilità. Il gesto di Maria invita anche noi, da una parte a lasciare avvolgere di fasce la nostra nudità, dall’altra, invece, ci chiama ad avvolgere con tenerezza l’umanità nuda, a prenderci cura degli altri con amore. Così come Maria avvolse in fasce Gesù bambino, così anche la gloria del Signore avvolse di luce i pastori quando furono sorpresi dall’Angelo.
Poi Maria depone con cura il suo bambino in una mangiatoia, un incavo di legno o scavato nella roccia, di per sé destinato a contenere il cibo per gli animali… ma è lì dove Maria ha deposto il suo bambino. Già nella letteratura profetica appare questa parola, il profeta Isaia 1,3 dice che “il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo signore, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”». In questo contesto, la mangiatoia é il simbolo della cura amorevole di Dio a cui il popolo risponde con l’abbandono e la ribellione. Il bambino deposto nella mangiatoia diviene dunque il segno estremo della ‘cura’ di Dio per il suo popolo. La mangiatoia è lo scandalo, Dio pertanto si rivolge non ai “sapienti”, ma ai piccoli, cioè a coloro che non si sarebbero scandalizzati nel vedere un neonato in una mangiatoia, che non si aspettavano di vedere un letto, ma che attendevano di vedere unicamente il Salvatore.
Maria mette il suo piccolo bambino” in una mangiatoia e, da questo preciso momento, Gesù non è più solo suo figlio ma diventa, nella mangiatoia, nutrimento per tutti noi”. Infatti, “… Il debole bambino che giace nella mangiatoia è il salvatore del mondo. Questo è l’intramontabile messaggio del Natale, senza mito nè leggenda”.
Come ho accennato in apertura Natale è la festa della tenerezza di Dio che ci offre dei segni paradossali: “avvolgere in fasce il Messia e deporlo in una mangiatoia”. Questo ci parla “della potenza del Salvatore, nella debolezza del bambino nato, della gloria del Messia nella miseria di una mangiatoia, della Signoria di Gesù nel suo abbassarsi”, ma soprattutto la tenerezza del nostro Dio verso l’umanità nuda.
Accogliere il dono per diventare discepolo missionario
Per Papa Francesco, dobbiamo essere come Maria che ha saputo accogliere, avvolgere e deporre il dono che è Gesù. “Accogliamo dunque il dono che è Gesù, per poi diventare dono come Gesù. Diventare dono è dare senso alla vita. Ed è il modo migliore per cambiare il mondo: noi cambiamo, la Chiesa cambia, la storia cambia quando cominciamo non a voler cambiare gli altri, ma noi stessi, facendo della nostra vita un dono”.