Letture:
Is. 25, 6-10;
Sal. 22;
Fil. 4, 12-14.19-20;
Mt. 22, 1-14; La parabola del banchetto di nozze del figlio.
Ingresso:
Se consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono, o Dio d’Israele.
Il Vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica si trova fra il gruppo di parabole inserite dall’evangelista Matteo dopo Discorso Ecclesiale (c. 18) e come riecheggio ad esso ci riconducono. Presentano, attraverso immagini vivide, diversi atteggiamenti tenuti dinnanzi al Regno dei Cieli. Geograficamente, Gesù ha appena finito il suo ultimo viaggio dalla Galilea alla Giudea e si trova a Gerusalemme. Questo cammino appare come il pellegrinaggio della comunità cristiana che deve seguire il Cristo (19,23-30), liberarsi dai legami umani e seguire effettivamente Gesù che dona la sua vita (20,17-19).
A Gerusalemme, Gesù si confronta con la religione stabilita, anzi con certe presunzioni religiose, che evadono la vera relazione con Dio e con i fratelli. Diventa allora inevitabile lo scontro con i professionisti della religione e le autorità del tempo: i sacerdoti, gli anziani del popolo e i farisei. Gesù riconosce che loro sono chiamati, e fra i primi, ma la loro risposta alla chiamata lascia molto a desiderare. Dicono e non fanno (21,28-32) e perfino corrono il rischio di diventare colpevoli di deicidio (21,33-46). Per questa sua sincera frontalità, quando Gesù inizia a raccontare questa parabola, lo troviamo, da una parte, incalzato dalle autorità giudaiche che cercano di metterlo a morte per avere osato mettere a nudo la loro ipocrisia e, dall’altra parte, protetto dalle persone semplici attratte dalla sua parola.
La tematica della parabola va cercata nelle prime parole: “Il Regno dei Cieli è simile a un (uomo) re”. Qui troviamo anche la chiave per fare la lettura della stessa parabola: la similitudine. Vale ciò a dire che nella parabola dobbiamo sapere scorgere sia la somiglianza come la differenza. È la conoscenza di Gesù, della sua parola e l’amicizia nel frequentarlo, che ci deve illuminare gli occhi per distinguere in questa immagine ciò che è, e ciò che non è, Regno dei Cieli. A questo proposito sarebbe anche utile leggere le altre parabole di Gesù sul Regno dei Cieli e che troviamo nel “Discorso in parabole” (cc 13ss) anche nel Vangelo secondo Matteo.
Il cuore dell’immagine presentata da Gesù è il banchetto nuziale del figlio. Attorno ad esso girano i preparativi del re, l’invio dei servi, il rifiuto degli invitati, l’invio dei servi agli “scartati”, la visita del re agli invitati. È uno scenario di amore, di amicizia, di generosità. Ricordiamo che già dai tempi dei profeti lo sposalizio è usato come immagine dell’alleanza tra Dio e il suo popolo (Os 1, 4-25). Ritorna qui la tematica di coloro che hanno “diritti acquisiti” a partecipare al banchetto, e sono chiamati per primi, ma che in realtà sono lontani dall’amicizia del re, poiché si preoccupano solamente di riuscire nei propri affari, trovandosi scuse di tutti i tipi.
E dopo questo, mi sembra scorgere la prima differenza fra i regni umani e il Regno dei Cieli. Il re umano certamente prenderà rivincita del disprezzo ricevuto, come detto nella parabola. Io ne ho seri dubbi sia questo il modo di procedere del Re del Cielo, Padre Misericordioso. Appare, però, ovvio che tutto quanto lui abbia preparato non debba finire sprecato. Così, fallita la convocazione dei “vicini”, il re fa chiamare “i lontani” fino a riempire il salone del banchetto. La sua casa diventa “casa di tutti”, dei senza nome né titoli, dei poveri ed esclusi (cfr. 1 Cor 1,26). Questo a tanti appare scandaloso, dimenticandosi che l’invito viene dalla generosità del Re e non dal merito dell’invitato, fatto che si intuisce già nel primo invito, ma soprattutto evidente in questo secondo.
Nella parabola viene dato risalto al momento in cui il re scende a salutare gli invitati, e trova uno che non indossa l’abito nuziale. Evidentemente costui non è in sintonia con ciò che si vive e celebra in quel luogo. Forse è lì non per condividere la gioia del Re per le nozze di suo figlio, ma sia lì per i propri affari. Entrato senza indossare l’abito nuziale, si potrebbe dedurre che non è entrato dalla porta... comunque, un così generoso padre, non avrebbe fatto tanto caso del vestito. La gravità del momento si coglie piuttosto sulla parola rivolta dal re a costui: “Amico, come sei entrato qui?”. La parola “amico” usata, infatti, verrebbe meglio tradotta per “falso amico” o nel minimo essere intesa nel senso dello sconosciuto appena trovato a chi solo per gentilezza si chiama amico. La prova della sua scorrettezza sta nel non degnarsi nemmeno di dare una risposta ... Tutti erano lì per grazia, per la generosità del re, fosse anche lui lì per quel motivo certamente avrebbe risposto: “Grazie a te mio Signore!”. Eucaristia è proprio questo, dire con la nostra voce e azioni, “Eccomi... sono qui per grazia tua”, confessione da completare poi, alla fine della celebrazione, con il “manda me”.
Una domanda: Io battezzato, anch’io invitato, non per merito mio, ma per la bontà di Dio, mi rendo conto della grazia ricevuta?
Poi un’altra: partecipando all’Eucaristia Banchetto dell’Agnello, mi rivesto di lui per la mia vita di ogni giorno?
Un’ultima: Se qualcuno mi domandasse, perché vado in Chiesa, perché faccio la comunione, cosa risponderei io? Lo so molto bene che “io non sono degno”, ma la partecipazione è prova che Dio è generoso e buono. Inviato, poi, nel mondo, vivo e condivido questa bontà?
Dal punto di vista missionario, ci sarebbe molto fruttuoso contemplare l’atteggiamento di questo Re-Padre. Egli aveva preparato un piano di festa gioiosa per tutti e non è il rifiuto o la difficoltà a fargli mollare tutto. Anche gli Apostoli, con la parresia (coraggio) venuta dal dono dello Spirito, non si fermano davanti al rifiuto, anzi, la persecuzione e le difficoltà, per una resilienza spirituale, diventano l’occasione e lo scatto che li fa definitivamente partire per testimoniare il Vangelo fino ai confini della terra.
Ci troviamo nel mese missionario e siamo particolarmente invitati ad essere tessitori di fraternità. Possa ognuno di noi, per intercessione della Regina degli Apostoli e dei Missionari, portare con coraggio nella propria vita il vestito della testimonianza, gioiosamente intrecciato di amicizia, solidarietà, presenza, consolazione e annuncio, alcuni dei tanti fili con cui si tesse la fraternità.