V Domenica di Pasqua - Anno B

Pubblicato in Domenica Missionaria

Letture:
At.9,26-31; 
Sal. 21; 
1Gv.3,18-24; 
Gv.15,1-8; “Io sono la vite e voi i tralci”.

Canto al Vangelo:
Alleluia, alleluia
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.

Gesù inizia con l'affermazione Io-Sono, il nome di Jawhè, usandolo non in senso assoluto, ma apponendovi una specificazione, la vera vite, il buon pastore, la porta dell’ovile, la via, verità e vita, la luce, mite ed umile di cuore…

L'immagine della vite è un rimando immediato al popolo eletto, stando alla tradizione dei profeti che biasimano al popolo di essere vigna sterile, incapace di portare frutto.

Questa considerazione ci fa comprendere che quanto Gesù dice circa la necessità di rimanere nella comunione con lui, è vero, anche se difficile da accettare. In altre parole, non abbiamo altra possibilità di uscire dalla sterilità se trascuriamo la comunione con Gesù. Fuori dell'amicizia con Gesù vi è un solo risultato possibile: la sterilità, il nulla. È sconvolgente, se ci pensiamo anche solo per un attimo, lo stile assertivo con il quale Gesù afferma che al di fuori dell'amicizia con lui non c'è altro che morte, come senza l’aria che respiriamo c’è solo la morte.

Rimanete in me: i battezzati vengono innestati come innesti o tralci sulla vite che è Cristo e vi rimangono uniti in tre modi diversi:

1. completamente, vivendo la fede in cui credono, partecipando alla Messa domenicale, pregando personalmente e in famiglia, ricevendo i Sacramenti con devozione, accettando le vicende di questa vita come dono di Dio.

2. parzialmente, vivendo a tempo la fede in cui credono, partecipando sovente alla Messa domenicale, ai Sacramenti ma omettono la preghiera personale o di famiglia e spesso si arrabbiano contro le vicende di questa vita.

3. poco, praticamente non vivono la fede in cui dicono di credere, limitandosi al Precetto Pasquale e trascurando quasi sempre la Messa domenicale e la preghiera personale e in famiglia e non accettano la vicende di questa vita.

"Rimanete in me e io in voi", dice più volte Gesù e specifica: "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (v.5)

"Rimanere" per indicare la comunione che esiste in maniera perfetta tra il Figlio e il Padre ("Io sono nel Padre e il Padre è in me" Giov.14,10 e 11) e poi tra il Figlio e il discepolo.
"Alla pallida spiritualità di molti cristiani che sentono la loro religiosità come un obbligo o come un mantello esterno, Gesù oppone la religione della comunione interiore, della vivacità, dell'amore, dell'adesione gioiosa" (G.Ravasi)

Ma, in concreto, che cosa vuol dire per il credente "rimanere" in Gesù?

- Un primo elemento ci è offerto dal brano stesso: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi…" (v.7). Gesù è il Verbo, cioè la Parola, incarnato; nel suo ministero ha fatto dono del suo insegnamento ai discepoli, che sono dunque già "mondi" per la parola che Gesù ha loro annunziato e quindi non hanno bisogno di essere "potati" per portare frutto. Allo stesso modo, anche noi dobbiamo fare dell'ascolto della Parola una nostra dimensione quotidiana.

- In secondo luogo, è l’immanenza sacramentale: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui": l'Eucarestia è certamente il dono più grande che Gesù ci ha fatto, perché è il dono di Sé stesso, affinché abbiano la "vita eterna" cioè la vita divina.

Parola ed Eucarestia sono le due "mense" cui ci accostiamo in ogni celebrazione eucaristica, come la linfa che dalla vite passa ai tralci: e questo ci porta all'adorazione dell'Eucarestia. Allora sarà anche possibile "portare molto frutto"."E in questo è glorificato il Padre mio": la gloria di Dio, la sua felicità, la gioia che Lui prova per noi è vederci sempre più simili a Gesù. Portare i tralci a unirsi sempre più intimamente alla vite: ecco la vera missione.

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