Mozambico: Un secolo di fede e opere dei missionari della Consolata

Posa della prima pietra della casa della scuola Paulo VI a Lichinga, alla presenza dell'arcivescovo Eurico Dias Nogueira Posa della prima pietra della casa della scuola Paulo VI a Lichinga, alla presenza dell'arcivescovo Eurico Dias Nogueira Foto: Archivio FM

L'opera dei missionari della Consolata in Mozambico dura da cento anni. I religiosi, insieme alla popolazione, hanno affrontato la guerra coloniale e la guerra civile. Sul campo evangelizzano e realizzano progetti di promozione umana.

I missionari della Consolata arrivarono in Mozambico il 30 ottobre 1925. Cento anni fa. Il loro lavoro comportò immediatamente l'apprendimento delle lingue locali. “I primi missionari furono instancabili nella loro dedizione apostolica: sopportarono situazioni avverse, impararono le lingue macua, ciyao, cinyanja, xitshwa e cindau e stabilirono un contatto diretto e continuo con la popolazione”, scrive mons. Diamantino Antunes, missionario della Consolata portoghese e Vescovo di Tete, nel libro “L'albero cresce e dà frutto”.

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La formazione delle nuove generazioni era tra le preoccupazioni dei missionari a Massangulo

La guerra coloniale, tra il 1964 e il 1974, fu un periodo difficile per i missionari e tutta la Chiesa. “Non fu un periodo facile, poiché la guerra divenne una realtà con cui i missionari e le missionarie dovettero imparare a convivere. Oltre alle perdite umane e alla distruzione che causò, furano anche impediti di muoversi liberamente. L'eccessiva violenza perpetrata dai militari e dai coloni ferì la coscienza dei missionari, e alcuni presero l'iniziativa di denunciare quel comportamento riprovevole. Anche gli attriti con le autorità li logorarono a causa del clima di sospetto e sfiducia che suscitavano. Tra un fuoco e l'altro, i missionari cercarono di essere testimoni di pace e giustizia”, racconta il vescovo Diamantino.

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Mons. Diamantino Antunes, IMC, vescovo di Tete in Mozambico. Foto: Diocese di Tete

Successivamente, la guerra civile – che vide contrapposti il governo della Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo) alle forze della Resistenza Nazionale Mozambicana (Renamo) tra il 1977 e il 1992 – fu ancora una volta un periodo di rinnovato dolore. Il conflitto causò “insicurezza, sofferenza, distruzione e morte” e, in questo contesto, la Chiesa “dimostrò solidarietà con la popolazione sofferente e i missionari condivisero il loro calvario”, osserva Diamantino.

Leggi anche: Missionari della Consolata festeggiano 100 anni di missione in Mozambico

“Dal 1983 in poi, la guerra civile tra l'esercito e la Renamo si diffuse in tutto il Paese. La guerriglia trovò terreno fertile nel diffuso malcontento della popolazione, disillusa dai fallimenti dei piani economici del governo e dagli abusi di autorità. Tuttavia, fu la popolazione stessa a soffrire a causa della guerra. Con il passare degli anni, il numero di morti, distruzione e miseria aumentava. La Renamo utilizzò anche il rapimento dei missionari per attirare l'attenzione internazionale e, purtroppo, alcuni furono brutalmente assassinati a seguito degli attacchi”.

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Missionari e missionarie della Consolata nel Monte Cruz durante la celebrazione del centenário dell'IMC in Mozambico, giugno 2025.  Foto e video: Ricardo Santos

La guerra portò i missionari a rivalutare la loro presenza nel Paese. “Tutti i missionari fecero la coraggiosa scelta di rimanere e lavorare in luoghi pericolosi e in condizioni di esaurimento fisico e mentale. Viaggiare significava rischiare la vita su strade minate, soggette a continui attacchi da parte della Renamo. L'attività missionaria dovette essere ridimensionata. Tuttavia, gli inviti alla prudenza da parte dei superiori non impedirono ad alcuni missionari di osare. Questa solidarietà con la popolazione fu senza dubbio uno degli aspetti più significativi della presenza e dell'evangelizzazione dei missionari della Consolata a Niassa e Inhambane”.

Con la firma dell'accordo di pace generale nell'ottobre 1992, iniziò una nuova fase storica, come sottolinea il Vescovo di Tete. “In questo contesto di ricostruzione, la Chiesa cattolica si impegnò a contribuire al rinnovamento morale ed economico del Paese. Creò infrastrutture per lo sviluppo umano attraverso la creazione di scuole, centri per bambini malnutriti, aiuti per persone con disabilità e assistenza a rifugiati, malati e anziani.”

* Juliana Batista è giornalista della rivista Fatima Missionaria in Portogallo. Originariamente pubblicato nella rivista Fatima Missionaria, Agosto/Setembre 2025.

 

Ultima modifica il Martedì, 28 Ottobre 2025 22:57

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