In una luminosa e limpida giornata di settembre, si è tenuto un raduno speciale davanti al Padiglione della Campana di Bosingak, a Seoul, in Corea del Sud. Coloro che si sono riuniti non stavano semplicemente partecipando a una manifestazione: erano credenti uniti da un desiderio comune - proteggere il creato di Dio e preservare l’ordine divino del mondo.
La “Messa del 27 settembre per la Marcia della Giustizia Climatica” è stata presieduta da mons. Peter Kang Woo-il. Sacerdoti e religiose, giovani e anziani, e parrocchiani impegnati nella difesa del creato, si sono uniti per riaffermare una verità fondamentale: “La Terra è la casa di Dio.”

Nell’omelia, mons. Kang ha criticato con fermezza la logica dello sviluppo incontrollato che domina la nostra società. Dio ha creato i fiumi perché scorressero e portassero vita a tutte le creature, ma l’umanità ne ha bloccato il corso per inseguire il profitto. Quando i fiumi hanno smesso di fluire, anche i pesci, le zone fangose, le foreste e i campi hanno cominciato a soffrire. Citando l’enciclica Caritas in Veritate di papa Benedetto XVI, il vescovo ha ammonito che ignorare la sapienza e il disegno inscritti nella creazione è allo stesso tempo ignoranza e violenza. Le sue parole non erano un semplice commento di natura ecologica, ma un appello che toccava il fondamento stesso della fede.
I presenti furono profondamente toccati dalle parole di Mons. Kang. Un laico ha confidato: “È estremamente importante riflettere insieme sulla volontà di Dio.” Una religiosa ha aggiunto: “Poiché Dio è Vita, proteggere la vita è il dovere naturale di ogni cristiano.” Queste testimonianze hanno ricordato a tutti la missione alla quale siamo chiamati.

Dopo la Messa, i partecipanti con i loro cartelli hanno marciato verso Gwanghwamun. I messaggi — “Salviamo la nostra casa comune, la Terra” e “Siamo persone di speranza” — non erano semplici slogan, ma vere professioni di fede e impegno di vita. Mentre, camminando assieme, i religiosi portavano striscioni con la scritta “La zona fangosa di Sura è viva”, ogni loro passo diventava una preghiera, un canto di lode e una testimonianza di fede.
Giunti a Gwanghwamun, hanno fatto sei appelli: la riduzione dei gas serra; l’abbandono dell’energia nucleare e dei combustibili fossili; la revisione delle politiche industriali distruttive; la difesa della dignità di ogni forma di vita; la sostenibilità dell’agricoltura e del cibo; la fine della guerra e dell’industria bellica.
Queste non erano semplici richieste sociali, ma un cammino di fede, un modo per proteggere il creato.

Oggi anche noi siamo invitati a chiederci: Come mi prendo cura del creato?
Le mie piccole scelte quotidiane diventano azioni che proteggono il mondo di Dio?
E quali cammini di speranza stiamo aprendo come comunità?
“Siamo il popolo della speranza”
Questa confessione non è solo uno slogan gridato in piazza: è l’identità stessa dei credenti di oggi. Nel nostro amore per il creato, nella nostra obbedienza a Dio, e nelle nostre azioni in difesa della vita, diventiamo davvero persone di speranza.
Il suono dei passi che quel giorno riecheggiava a Bosingak risuona ancora nei nostri cuori. Non era soltanto un grido: era una preghiera offerta a Dio e una testimonianza al mondo. E ancora oggi quell’eco ci sussurra: “Voi siete i custodi del creato. Voi siete il popolo della speranza.”
* Padre Kyoung Ho Han, IMC, membro della Commissione Nazionale per la Riconciliazione.










