Solennità di Cristo Re dell’Universo e 39° Giornata Mondiale della Gioventù
Dn 7, 13-14; Sal 92; Ap 1, 5-8; Gv 18, 33-37
Le letture dell’ultima domenica dell’anno liturgico, Solennità di Cristo Re dell’universo, sono centrate sulla regalità di Cristo. Nella pagina evangelica è ben chiaro che Gesù è Re ma che il suo regno, non essendo di questo mondo, ha un obiettivo preciso: rendere testimonianza alla verità.
Con linguaggio profetico, Daniele contempla “uno simile al figlio d’ uomo” che riceve potere da Dio. L’Apocalisse, invece, sottolinea che questo potere regale di Cristo ci viene comunicato per amore: Cristo Re “ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”.
Un potere dato e comunicato
La “visione” descritta da Daniele fin da Dn 7,1 trova il suo apice con l'apparizione di uno simile a figlio d’uomo figura in cui si compendiano i tratti del Messia che verrà a stabilire il regno di Dio sulla terra. È Gesù che nei Vangeli usa questo termine di “figlio d’uomo” e lo applica a se stesso. Da questa profezia si possono sottolineare quattro aspetti della regalità del figlio d’uomo: il potere del “figlio d’uomo” non solo viene da Dio ma anche gli appartiene; ha un carattere universale poiché destinato a “tutti i popoli, nazioni e lingue”; non tramonta mai è eterno ed infine non sarà mai distrutto.
Queste quattro caratteristiche sono la vera sintesi di ciò che Gesù voleva sottolineare dicendo “il mio regno non è di questo mondo”. È un regno di amore perché viene da Dio e a Dio appartiene: è un regno di amore perché Dio è amore e vuole stabilire il suo regno di amore.
Questo regno e potere che vengono da Dio vengono comunicati all’umanità attraverso Gesù, re dell’universo. Attraverso la sua morte, Egli ha fatto di noi “un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. Gesù ci ha introdotto in una nuova dinamica di vita, ci ha avvicinate a Dio e ci ha invitati a diventare parte della famiglia di Dio, del nuovo regno che è un regno di verità.
Sono venuto per dare testimonianza alla verità
Il Vangelo ci presenta una scena del processo-interrogatorio di Gesù davanti a Ponzio Pilato, il governatore romano della Giudea. L'incontro faccia a faccia di Gesù con i capi giudei aveva già avuto luogo, in particolare con Anna. Questo interrogatorio inizia con una domanda diretta posta da Ponzio Pilato “Sei tu il re dei Giudei?”. Tale inizio rivela quale fosse l'accusa portata dalle autorità ebraiche contro Gesù: aveva pretese messianiche; intendeva restaurare il regno ideale di Davide e liberare Israele dagli oppressori.
Gesù, spogliato ed umiliato, risponde senz’ambiguità, si proclama e si riconosce quale re: “tu lo dici: io sono re” ma prima di proclamarsi re, aveva chiarito che il suo regno non era di questo mondo. Affermando che il suo regno non è di questo mondo Gesù vuole sottolineare anche, come diceva il biblista De La Potterie, “la regalità di Cristo non si fonda sui poteri di questo mondo e non è minimamente ispirata a questi. È una sovranità nel mondo, ma che si realizza in maniera diversa dal potere terreno e attinge la sua ispirazione da un’altra fonte”.
Bisogna avere il coraggio di Gesù nel dire che il suo regno non è di questo mondo e si contrappone a Pilato e a coloro che l’hanno accusato e condannato. Non è un regno circondato da soldati, dunque non è un regno di guerra il cui potere si nutre di violenza e produce morte; il suo regno non ha come obiettivo il vincere ma il servire e l’ amare. Infatti, Egli non si impone con la forza ma è venuto incontrare agli uomini per servirli; non cerca i propri interessi ma obbedisce in tutto alla volontà di Dio suo Padre; si preoccupa in amare, infatti, si proclama re in un processo interrogatorio che lo porterà alla morte in croce: il suo trono. L’abbiamo sottolineato all’inizio, con la prima e la seconda lettura, che la regalità di Cristo è di un altro ordine, l'ordine di Dio. È una regalità che tocca i cuori e che, invece di produrre oppressione e morte, produce vita e libertà.
Il suo regno è un regno di verità e la sua missione è rendere testimonianza alla verità, cioè, condurre gli uomini alla Verità suprema, liberandoli da ogni tenebra di errore e di peccato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Gesù un giorno aveva detto "Io sono la Verità, la Via, la Vita"; Io sono la Verità che Conduce alla Vita... E perciò "chiunque é dalla Verità ascolta la mia voce".
Per Gesù, la verità si testimonia e Lui dice di essere venuto: “per dare testimonianza”. Tutta la sua vita, il suo operare, il suo vissuto, sintetizzato nel termine “amore” è un atto di testimonianza. Passando in questo mondo e facendo null’ altro che del bene Gesù diventa testimone: «è il testimone fedele» per eccellenza. La sua vita è un dono della verità, in lui la verità si manifesta come dono: «dare» testimonianza.
Il discepolo missionario sa che Dio è amore e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. Questo è il regno di cui Gesù è il re e che si estende fino alla fine dei tempi. Sa inoltre che il regno di Dio è verità e che la nostra missione è quella di dare la testimonianza alla verità con la nostra stessa vita.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).