Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48
Davanti al sentimento di gelosia, di invidia, davanti a coloro che seminano zizzania e divisione, sia la prima Lettura sia il Vangelo propongono l’atteggiamento dell’accoglienza nella diversità e della flessibilità nel giudizio.
È la gelosia e l’invidia che fanno dire sia a Giosuè “Mosè, mio signore, impediscili!” sia a Giovanni “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma la risposta di Gesù è perentoria: “non glielo impedite: chi non è contro di noi è per noi”. Per Gesù non è un “noi” che esclude ma che tutti accoglie e abbraccia, anzi tutti riconcilia.
Volevamo impedirglielo
Ci troviamo ancora a Cafarnao mentre Gesù continua il suo percorso formativo sul discepolato. La lamentazione di Giovanni, questa volta il portavoce del gruppo, non solo rivela la gelosia e l’invidia ma provoca l’insegnamento sull’accoglienza da parte dal Maestro. Giovanni si lamenta che hanno trovato qualcuno che “scacciava i demoni” nel nome di Gesù, anche se non apparteneva al gruppo dei discepoli. Per Giovanni è un abuso usare il nome di Gesù da parte di qualcuno che non fa parte della comunità dei discepoli. Ecco perché, afferma Giovanni, “volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Così pure nella prima Lettura, quando Eldad e Medad, sebbene non facessero parte dei settanta uomini anziani che avevano ricevuto assieme lo spirito, profetizzavano nell'accampamento.
La cosa allarma Giosuè che si premura di informare Mosè. Non solo, gli chiede di impedire questa profezia, che gli sembra illegale perché coloro i quali profetizzano non fanno parte dei settanta uomini anziani.
In ambedue le realtà emergono dei sentimenti di gelosia, invidia, divisione, perché i discepoli si considerano “detentori della fede, dei doni, dell’amore” e ciò crea esclusione e pone limiti al bene compiuto dagli altri. La gelosia e l’invidia non permettono di vedere il bene che viene compiuto, il geloso e l’invidioso non vedono il bene che fa la profezia di Eldad e Medad, non vedono neppure gli effetti positivi dello scacciare i demoni.
L’invidia e la gelosia accecano i discepoli al punto tale da non riuscire a vedere il bene compiuto. Ecco perché insistono sul fatto che non fanno parte del gruppo, non li seguivano, dimenticando che non sono loro che devono essere seguiti ma è Gesù, il Maestro. Dicendo “non ci seguiva”, i discepoli rivelano la loro pretesa di grandezza, la loro grande preoccupazione per la realizzazione dei progetti personali di prestigio e di grandezza che quasi tutti loro nutrivano.
Poco tempo prima, avevano discusso tra loro su chi sarebbe stato il più grande e chi avrebbe ereditato i posti più importanti nel Regno (cfr. Mc 9,33-37); ora sono inquieti e preoccupati perché è apparso qualcuno al di fuori del gruppo che vuole agire nel nome di Gesù e che potrebbe, in un prossimo futuro, contestare i loro posti elevati nella struttura politica del Regno. Si rivela un gruppo chiuso e detentore della fede e della verità e con tendenze anti-relazionale.
Non glielo impedite: chi non è contro di noi è per noi
Gesù si oppone a tale identità di gruppo chiusa, gelosa, invidiosa, esclusiva, si oppone ad un gruppo legato ad una logica di pretesa di dominio e di potere e afferma: “Non glielo impedite: chi non è contro di noi è per noi”. Bisogna passare dalla logica dell'ostilità, alla convivialità delle differenze; dalla logica dell’esclusivismo e divisione all’accoglienza della diversità come ricchezza reciproca, come carità che non annulla le differenze ma è capace di trarre il bene da ogni evento e situazione personale.
Dal punto di vista di Gesù, chi lotta per il bene dell'umanità è dalla parte di Gesù e vive nella dinamica del Regno, anche se non formalmente all'interno della struttura ecclesiale. La comunità di Gesù non può essere una comunità chiusa, esclusivista, monopolizzante, che tiene il broncio e si sente gelosa quando qualcuno da fuori fa del bene; né può sentire violati i suoi privilegi e diritti dal fatto che lo Spirito di Dio agisca fuori dai confini della Chiesa...
La comunità di Gesù deve essere una comunità che mette la preoccupazione per il bene dell'uomo al di sopra dei propri interessi, deve essere una comunità che sa accogliere, sostenere e incoraggiare tutti coloro che agiscono per la liberazione dei loro fratelli, una comunità capace di superare “questo è europeo, questo è africano, questo è musulmano” e cercare di vedere il bene che lui fa anche se non fa parte del proprio gruppo linguistico, culturale oppure religioso. Gesù dirà: “Chiunque, infatti, vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa” (v. 41).
Secondo Papa Francesco, il discepolo missionario deve fare un percorso: quello di “non pensare secondo le categorie di “amico/nemico”, “noi/loro”, “chi è dentro/chi è fuori”, “mio/tuo”, ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l’azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie. E - come ci suggerisce la restante parte del Vangelo di oggi - invece di giudicare gli altri, dobbiamo esaminare noi stessi, e “tagliare” senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede.”
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Maputo, Mozambico.