Trasfigurazione del Signore (Anno A). La meravigliosa sorte della Chiesa

Trasfigurazione del Signore (Anno A). La meravigliosa sorte della Chiesa Trasfigurazione Raffaello (Pinacoteca Vaticana)
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Tutte le Chiese d’Oriente e d’Occidente celebrano in questo giorno la solennità della Trasfigurazione del Signore. Essa fu celebrata in principio per ricordare la dedicazione di una chiesa sorta sul monte Tabor. Denominata dalle chiese orientali “Pasqua di mezza estate” (il mistero della trasfigurazione di Cristo è stato già oggetto della meditazione liturgica nella II Domenica di Quaresima) anche oggi la festa della Trasfigurazione presenta alla nostra attenzione la gloria del Figlio prediletto (Vangelo), sul cui volto splende la gloria del Padre (salmo responsoriale). La Trasfigurazione è una pagina di teologia per immagini: si tratta di vedere Gesù come il sole della nostra vita, e la vita sotto il sole di Dio. In questa pagina ci sono due tipi di protagonisti, quelli che stanno nella luce (Gesù, Elia e Mosè) e quelli che possono contemplare la luce (Pietro, Giovanni e Giacomo)

Gesù, Elia e Mosè

“Il suo volto brillò come il sole” (17,2). Nel volto è detto il cuore. Ogni figlio di Dio ha nel suo intimo una manciata di luce; è un'icona di Cristo dipinta su un fondo-oro (la somiglianza con Dio), un'icona che cammina. Vivere è la fatica paziente e gioiosa di liberare tutta la luce e la bellezza sepolte in noi, la pazienza della nostra incompiuta trasfigurazione nella luce. 

“Anche le sue vesti divennero bianche come la luce” lo splendore è così eccedente che non si ferma al volto, supera il corpo, tracima oltre e cattura perfino la materia degli abiti e la trasfigura. Se la veste è così luminosa, quale non sarà la bellezza del corpo? 

“Ed ecco apparvero Mosè ed Elia”. Mosè era sceso dal Sinai anche lui con il volto imbevuto di luce, Elia invece era stato rapito dentro un carro di fuoco e di luce. Rappresentano la legge e i profeti che è la sacra scrittura, la storia santa lucente e incompiuta.

La luce e la bellezza sono l'esca del divino; il credente dovrebbe annunciare solo questo: la bellezza di Dio, un Dio solare, bello, attraente, innamorato. Come insegnava Hans Urs von Balthasar dovremmo «far slittare il significato di tutta la catechesi, di tutta la morale, di tutta la fede: smetterla di dire che la fede è cosa giusta, vera, santa, doverosa (e mortalmente noiosa aggiungono molti) e annunciare invece la parola del Tabor: Dio è bellissimo».

La Chiesa ha nella storia il compito di annunciare la bellezza, o meglio, ha la vocazione di essere bella, «senza macchia né ruga, senza difetti». Nel Cristo trasfigurato è rivelata all’uomo la sua vocazione alla divinizzazione e all’intero creato il suo destino di comunione piena con Dio. Festa della bellezza e della contemplazione di quel Volto in cui tutti siamo chiamati a rifletterci come in uno specchio. 

Pietro, Giovanni e Giacomo

Allora, Pietro, stordito e sedotto da ciò che vede, balbetta: È bello per noi essere qui. Qui ci sentiamo a casa, altrove siamo sempre fuori posto; altrove non è bello, e possiamo solo pellegrinare, non stare. Qui è la nostra identità, anche noi in qualche modo "luce da luce". Non c'è fede viva che non discenda da uno stupore, da un innamoramento, da un “che bello!” gridato a pieno cuore, come Pietro sul Tabor.

I tre discepoli sono testimoni privilegiati dell’evento ma il privilegio accordato ai tre discepoli non va considerato a sé stante come un’isola felice, come gratificazione da consumarsi al momento e magari in uno stato di ebbra spensieratezza, bensì come un tonico per riprendere il cammino. Sul monte si è saliti non tanto per restarci, irresponsabilmente separati dalla pianura dove gli uomini combattono la loro battaglia per l’esistenza quotidiana, ma, al contrario, si è saliti per capire in profondità il senso della vita e ridiscendere a riprendere il duro cammino. “Una nube luminosa li coprì e venne una voce dalla nube”. A questo punto irrompe il Dio che non ha volto ma una voce. La parola “ascoltatelo” ci ricorda, anche in questa festa della luce e della visione, che la fede nasce dall’ascolto. Scendendo dal monte ai discepoli rimane nella memoria l'eco dell'ultima parola, sono saliti sul monte per vedere e finiscono per rimanere in ascolto. Di fronte a questa rivelazione di Gesù la scelta dei discepoli –di ieri e di oggi– consiste nell’ascoltarlo. «Ascoltate Gesù» è la nuova parola d’ordine, l’imperativo da tradurre nella vita. E’ un ascolto che si fa docile sequela di Cristo, sulle strade impervie della passione, per accedere alla gloria della risurrezione. Per mezzo dell’ascolto il Figlio dell’uomo, intravisto nelle visioni notturne di Daniele (prima lettura) è riconosciuto dagli apostoli come il Cristo Signore (Seconda lettura). 

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