La missione come arte di comunicare

La missione come arte di comunicare Tutte le foto: Oscar Medina
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“Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti. La forte attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l’efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi. Infatti, in Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto, il Dio invisibile si è lasciato vedere, sentire e toccare, come scrive lo stesso Giovanni (cfr. 1 Cv 1,1-3). La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo. Per questo motivo il “vieni e vedi” era ed è essenziale” (Papa Francesco, Messaggio per la 55.ma Giornata Mondiale della Comunicazione, 2021).

Comunicazione e vita

Vivere è comunicare. "La vita di tutti è un matrimonio con le parole; camminiamo con loro dalla mattina alla sera; ci accompagnano come il nostro respiro; sono nostro respiro. Noi siamo le nostre parole" (G. Colombero, Dalle parole al dialogo).

La comunicazione è un bisogno vitale per l’uomo, ma spesso è anche una sofferenza, le parole possono creare disagio, incomprensioni e malintesi, soprattutto in contesti di comunità religiose multiculturali.

Le difficoltà del parlare e in genere del comunicare consistono, tra l’altro, nel fatto che quando comunichiamo noi non diciamo o non comunichiamo solo qualcosa, ma “ci diciamo”, “ci riveliamo”, dunque ci “sveliamo” e perciò dobbiamo sentire di avere un contesto in cui ci sappiamo accolti, di cui abbiamo fiducia, per poterci dire ed esprimere. 

La responsabilità del parlare è la responsabilità stessa che abbiamo verso gli altri e verso la costruzione comune che con essi intendiamo attuare. È la responsabilità della comunità. Ha scritto Emmanuel Lévinas: “Il linguaggio è universale perché è il passaggio dall’individuale al generale, perché offre le cose mie ad altri. Parlare significa rendere il mondo comune, creare dei luoghi comuni”.

Se vogliamo creare una comunicazione autentica con una persona, se vogliamo davvero ascoltarla, non possiamo non farci accompagnare dalle nostre emozioni. E si comunica con le parole, ma anche con il corpo vivente, con lo sguardo e con il silenzio. 

Se comunicare è indispensabile, allora occorre imparare a comunicare: un processo lento, non semplice, continuamente da riprendere e da verificare nei comportamenti quotidiani, evitando di cadere nella illusione - naturale e quasi ovvia - di pensarsi buoni comunicatori. Qualsiasi tipo di comunità sta in piedi se i suoi membri si accorgono che accanto a loro vi sono altre persone con le quali si entra necessariamente in contatto. Comunicare non è una tecnica ma un’arte che esige umiltà.

Le radici della comunicazione: l'ascolto e il silenzio

La vera comunicazione prevede la condivisione di ciò che si è, e L’ASCOLTO PROFONDO di ciò che l’altro è. 

Ascoltare significa innanzitutto accettare in profondità di sacrificare ciò che ci pare sempre più prezioso: il tempo: per fermarsi, per incontrare, per rispettare i tempi dell’altro e accoglierlo nella vita.

Ascoltare significa, essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche tentare di ascoltare il suo "non detto", ciò che egli sottintende o nasconde.

Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco. È farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce e ci permette di cogliere l’altro per quello che è e si narra, e non per quello che io credo che sia.

Ascoltare significa accogliere l’altro è permettere che le differenze si contaminino e perdano la loro assolutezza. Non si tratta solo di acquisire informazioni sull’altro, ma di aprirsi al “racconto” che l’altro in mille modi fa di sé stesso e della propria storia: così l’altro non abiterà più tra di noi ma in noi. Non si tratta solo di “ospitarlo”, di vivere sotto lo stesso tetto, ma di accoglierlo nel cuore e nella nostra vita!

La comunicazione più riuscita è quella in cui si osserva IL SILENZIO che è la condizione perché avvenga l’incontro e vi sia l’ascolto. Allora è urgente per aumentare la qualità della comunicazione riscoprire la necessità del silenzio, la sua ricchezza, poiché solo chi ama il silenzio e lo cerca, è capace di parlare, di ascoltare e di stare in ascolto. Il silenzio diventa quindi il contenuto segreto delle parole che importano, che lasciano il segno nella vita dell'altro che ascolta.

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La comunicazione come parola detta

Solo quando nasce dall’ascolto e dal silenzio la parola è sana e costruisce fraternità, diversamente la parola è inutile se non dannosa. 

PAROLA CHIARA. La parola deve trasmettere in modo chiaro e immediatamente comprensibile un contenuto. Questa è anche parola diretta, rivolta all’interlocutore cui è destinata e non bisbigliata dietro le spalle o detta a uno perché l’intenda un altro. È una buona regola generale: preferibilmente non parlare del fratello, ma al fratello.

PAROLA DA CUSTODIRE. Naturalmente la cosa funziona anche in senso inverso, non solo come capacità di rivolgere la parola al diretto interessato, ma anche di custodire la parola affidata dall’altro. Chi ascolta riceve dunque in consegna non una parola qualsiasi, ma un fratello che in qualche modo si è affidato a lui. 

PAROLA FRUTTO D'ESPERIENZA. Un’altra dimensione della parola autentica è quella dell’esperienza: la parola dovrebbe essere la fedele traduzione dell’esperienza di vita, come un narrativo di ciò che la persona ha realmente sperimentato e che ha toccato in profondità la sua vita. Certo, la parola è uno strumento insufficiente per condensare in sé la ricchezza di certi eventi ed esperienze di vita, per questo la parola è umile, non pretende “dire” tutto dell’evento, ma in qualche maniera lo traduce, lo trascrive e lo fa intuire.

PAROLA NON MORMORAZIONE. La parola può diventare luogo di misericordia o di possibile violenza, prevaricazione, arroganza. I richiami di papa Francesco all'uso sobrio e intelligente e caritatevole e rispettoso della parola ormai non si contano più. Lui parla di terrorismo delle chiacchiere. Una comunità può essere distrutta dalle parole al vento, dalle parole cattive, dalle parole insincere, menzognere e doppie. Il lamento è un linguaggio che non edifica: a volte è una chiamata alla complicità; altre volte contribuisce a creare gruppi che si fanno portatori di una contro-verità, di una lettura alternativa di ciò che avviene.

Ultima modifica il Martedì, 21 Febbraio 2023 10:12

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