ASCOLTA
Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: "Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". Ma lei gli replicò: "Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli". Allora le disse: "Per questa tua parola, va': il demonio è uscito da tua figlia". Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato (Mc 7,24-30)
RIFLETTI
Il miracolo compiuto da Gesù nella terra di Tiro e Sidone è un simbolo del dono della salvezza ai pagani, i quali manifestano la loro fede. In questo testo, ambientato nella città “pagana” di Tiro il tema centrale che ci propone l’evangelista San Marco è l’ammissione dei pagani alla salvezza portata da Cristo. Non ci sono più le persone pure e impure, ma ognuno – a suo tempo – può ricevere il dono della salvezza. L’esercizio della consolazione non ha un luogo specifico in cui praticarsi, così come non conosce categorie di persone particolari a cui rivolgersi. Il luogo in cui si realizza è ovunque e per tutti, privilegiando gli abbruttiti e le persone scartate dalla società. L’importante è saperle vedere là dove sono, nei bassifondi o nei quartieri bene, nelle loro periferie esistenziali, senza essere noi a stabilire dove incontrarli.
Fin dall’inizio Gesù ha coscienza della sua missione di consolatore: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19).
Gesù passò in mezzo a noi, adottando la consolazione come metodologia della sua evangelizzazione. Consolare è ascoltare il volto sofferente del prossimo, è con-soffrire con il sofferente, offrendogli spazio in noi e sottraendolo al dolore della sua solitudine. In Lui la consolazione non solo si fa contemplazione orante della storia del povero, aiutandolo a risollevarsi dalla situazione di prostrazione in cui si trova, ma si preoccupa anche di migliorare la condizione delle persone che vivono in situazioni di sofferenza fisica o morale, di vecchiaia, di solitudine o di abbandono. La consolazione sfocia nella promozione umana, favorendola e sostenendola.
Così, tutta la storia della salvezza, dalla creazione fino alla salvezza in Cristo, è vista come una grande opera di consolazione, aperta al futuro, alla pienezza escatologica, dove non ci saranno più lacrime: "E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4).
La consolazione di Gesù alla fine ci fa conoscere il vero volto del Padre, ci insegna le beatitudini come stile di vita, ci trasmette il dono più bello che abbiamo ricevuto e che si riassume nella certezza di essere amati da Dio in Cristo Gesù.
PREGA
Gesù, Signore della vita,
molti sono quelli
che ci vorrebbero consolare
quando la morte rapisce chi ci è caro.
Ma nulla possono
per toglierci l'angoscia che ci invade
di fronte alla grande nemica.
Tu, tu solo, che l'hai vinta
con la risurrezione,
puoi dare ali alla nostra speranza.
Donaci, Signore,
di credere in te, vivo e presente
con il tuo Spirito consolatore,
amore più forte della morte. Amen.
(Anna Maria Cànopi)
“Noi esseri umani abbiamo sempre bisogno
di consolazione, anzi di un’infinita consolazione.
Abbiamo sempre bisogno di essere consolati,
confortati nella nostra sofferenza
strutturale, nella nostra fragilità, nella precaria
giornata terrena.
Non abbiamo bisogno di molto altro,
ma solo di infinita consolazione:
tutto perciò dovrebbe essere finalizzato
a questo scopo: il lavoro, la sapienza,
ogni forma di compassione e di amore,
siano modi per consolare, per dire
all’essere umano: tu hai un grande valore,
non temere, non sei solo, e questa scarpata
ripida e dolorosa ti sta portando
sempre più prossimo alla gioia, a tutto ciò
cui aneli, spesso senza nemmeno saperlo”.
(Marco Guzzi, Darsi pace).