II tema teologico della consolazione donata da Dio si trova principalmente in Is 40-66. Lo stesso Ben-Sirah descrive l’azione consolatoria in Isaia in questi termini: «Con grande ispirazione vide gli ultimi tempi e consolò gli afflitti in Sion» (Sir 48,24).
L’afflizione e la sofferenza del popolo di Israele è dovuta alla tremenda esperienza dell’esilio in Babilonia. Lo sconforto degli esiliati trova espressione in lancinanti lamentazioni. La profondità di tale lamento è straziante, perché Israele è cosciente che l’attuale situazione è dovuta al fatto terrificante che Dio giudicò l’incoerenza, infedeltà e idolatria del suo popolo. In breve, Israele sa di non aver rispettato gli impegni assunti con l’alleanza. Dal suo abisso di desolazione non vede chi possa “consolarlo”. Gli interrogativi si fanno anche espliciti sulla bocca dell’autore: «Che testimonierò io per te? A che ti rassomiglierò, figlia di Gerusalemme? Chi ti salverà e ti consolerà, vergine figlia di Sion?» (Lam 2,12)
Nessun orizzonte si intravede per il popolo, se non quello di invocare il Signore. La salvezza sta nell’incontro del popolo che grida e del Signore che risponde con parole, ma soprattutto con azioni in potenza.
La vera consolazione è dunque portata da un intervento di Dio. Essa presuppone perciò una presa di coscienza, una confessione e una supplica. Dio interviene finalmente nella profondità della sofferenza, come iniziativa di risposta alla reazione del popolo dolorante. L’intervento salvifico di Dio è qualificato da Isaia come “consolazione”.
1. Dio consola mediante i suoi inviati
II primo passo in cui Dio investe intermediari di una missione consolatoria apre la letteratura del Deutero-Isaia:
«Consolate, consolate il popolo mio!- Parla il vostro Dio!- Parlate al cuore di Gerusalemme, e gridate a lei che è finita la schiavitù, è stata scontata la sua iniquità» (40,1-2).
Qui il profeta, ammesso nel Consiglio di Dio, comprende in profondità dalla stessa voce divina il messaggio da portare. È come se egli desse foneticità alla voce incomprensibile di Dio. Analogamente nei profeti il piano di liberazione, di “consolazione” di Dio, si fa parola udibile e quindi comprensibile in forza della voce del profeta. Il compito specifico di questi diventa vero ed autentico solo dopo un’esperienza del divino e dopo aver preso coscienza di essere inviato. Egli può testimoniare solo un’esperienza (vedi il Battista, Gv 1,32-34).
Le parole consegnate al profeta hanno eminentemente il tono del linguaggio dell’amore, e amore nuziale, affinché penetrino nel cuore di Israele scoraggiato che è chiamato “popolo mio” e “sposa”. Questa qualificazione, che include già una perfetta riconciliazione tra Dio e gli esuli, ha il compito di rianimare, riconfortare e quindi disporre gli animi per rivivere le meraviglie simili a quelle del primo esodo.
Il profeta deve così immergersi nelle contingenze attuali del popolo, capirne le logiche interne ed in esse innestare la voce circostanziata del mandatario. La situazione allora diventa il luogo teologico della volontà di Dio attraverso l’opera interpretativa del profeta. Questi dà le indicazioni per una lettura dei segni dei tempi e riassicura il popolo: il tempo, il Kairós, si è fatto “opportuno” per un cambiamento.
Questo processo però non è frutto di uno studio sociologico, ma di un ascolto attento e silenzioso della voce di Dio, che si può cogliere solo se si è ammessi al suo Consiglio. Il vero profeta è, dunque, un contemplativo di realtà divine. Dopo questa contemplazione egli non parla per virtù propria, ma solo nel Nome di Dio.
Nel nostro caso, il profeta ha ascoltato la voce di Dio e quindi deve necessariamente andare, portarla e tradurla agli esiliati: egli è il “messaggero”. È una voce dal contenuto di “consolazione” per coloro che da lunghi anni stanno sotto il giogo della schiavitù. Il messaggio è lieto perché prospetta un imminente intervento di Dio. Infatti annuncia la fine della schiavitù, il perdono dei peccati e la venuta di Dio.
Già nel primo annuncio deutero-isaiano si capisce tuttavia che la vera consolazione non è limitata da un puro “lieto messaggio”, ma dalla positività concreta. Appena il messaggio divino entra nella storia, automaticamente deve influire sulla situazione. Infatti, qui la sofferenza è annunciata come già finita e la colpa di Israele già scontata. Le parole consolatorie sono solo l’espressione di un cambiamento già in atto e destinato ad essere ultimato in un tempo breve.
Il Trito-Isaia riporta un altro testo che descrive l’azione mediata di Dio:
«Lo Spirito del Signore è su me, perciò mi unse: ad evangelizzare i poveri mi inviò, a guarire gli afflitti di cuore, ad annunciare ai prigionieri la remissione, e ai ciechi il vedere di nuovo, a proclamare l’Anno del Signore accetto, e il giorno della retribuzione, a consolare tutti gli afflitti, a donare agli afflitti di Sion gloria invece di cenere, unzione di gioia agli afflitti, e saranno chiamati generazioni di giustizia, piantagione per la gloria» (61,1-3).
II profeta si sente investito dallo Spirito di Dio, che rende autentico il suo compito di “evangelista” ed “araldo” dell’annuncio nuovo e inaudito. Anche in questo caso, il messaggio mira a preparare gli animi, a disporre le persone all’imminente intervento di Dio, che capovolgerà in gioia la situazione degli afflitti.
Per questo il profeta si fa voce di Dio e stimola il popolo esortando:
«Nel deserto, preparate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio! Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la Gloria del Signore, ed ogni uomo la vedrà - poiché la Bocca del Signore ha parlato!» (Is 40,3-5).
Il linguaggio altamente simbolico del profeta indica che il popolo deve prepararsi moralmente per l’imminenza della grande rivelazione-azione divina. Questo lascia intuire che l’opera consolatoria è un’azione complessa: l’iniziativa esclusiva di Dio, che tuttavia si serve della mediazione umana ed invia così il messaggio tramite il profeta, si combina con la risposta del popolo.
2. Dio consola di persona
Le collezioni del Secondo e Terzo Isaia offrono una lunga serie di testi, che descrivono Dio nella sua operazione propria di “Consolatore”, quasi a dire che l’opus consolatorio fa parte intrinsecamente del suo Essere Dio. Dio impiega la sua potenza creatrice per eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del processo di salvezza. Presentandosi con tale netta decisività, Egli risponde a tutte le angosciose domande del popolo alla ricerca di un consolatore. Dio si pone dunque come la Consolazione autentica (Is 57,18).
Soprattutto dopo aver visto la situazione del popolo, le “rovine di Sion”, non si limita a pronunciare parole di circostanza, ma la Parola del suo intervento cambia radicalmente la situazione:
«Ed ora Io ti voglio consolare, o Sion, consolai tutti i suoi luoghi deserti, e voglio porre i suoi luoghi deserti come giardino del Signore. Esultanza e gioia si trovano in essa confessione e voce di lode» (Is 51,3).
Da questo intervento positivo del Dio Creatore-Consolatore, Sion, la Città di Dio, la Sposa, che una volta era “afflitta”, “sconsolata”, è ricostruita in modo meraviglioso.
Questo popolo “verme di Giacobbe”, “vermiciattolo d’Israele” (Is 41,14), non deve più aver paura, perché il soccorso del Santo d’Israele è in atto. Dio non poteva dimenticare il popolo che si era scelto (Is 41,8; 44,1; 46,3). La fedeltà di Dio si manifesta puntualmente nel corso del tempo e della storia, così che il fine ultimo del piano di salvezza determina puntuali interventi di Dio. E Israele non deve mai perdere di vista quest’ultimo traguardo. Quando lo fa, sperimenta solo il silenzio e l’abbandono di Dio.
Il profeta usa due immagini plastiche per definire l’efficacia dell’azione consolatrice di Dio: il pastore e la madre:
«Come il Pastore egli pascola il suo gregge, e con il suo braccio radunerà gli agnelli e consolerà le pecore pregne» (Is 40,11).
L’immagine bucolica del pastore era molto familiare ad Israele e ritorna spesso nella sua esperienza di popolo peregrinante guidato e “pascolato” dal suo Dio (nel N.T. è ripresa da Mt 18,12 s.; Lc 15,3-7; Gv 10,1-16 e altri). Il Signore ha avuto per il suo gregge cure premurose. Infatti lo nutre, lo raccoglie, lo protegge dai pericoli della notte riconducendolo all’ovile e, soprattutto, ha tenera cura per i più deboli, come gli agnellini e le pecore gravide. Queste ultime sentono anche la sua azione consolatrice, perché Egli è continuamente presente, pronto ad intervenire quando la situazione lo richieda.
Così l’attenzione premurosa di Dio è continuata dall’immagine della madre:
«Come una madre consola uno (dei suoi figli), così anche Io vi consolerò, e in Gerusalemme sarete consolati» (66,13).
Egli qui si paragona alla madre che consola il figlio. Anzi, come una madre, Egli si china su Gerusalemme per «asciugare ogni lacrima da ogni volto» (Is 25,8). E, siccome qui si tratta di Dio, potenza e tenerezza sono collegate. Dunque, come Dio-Consolatore, agisce il Dio-Creatore, il Dio-Madre.
Il perdono delle colpe, la distruzione dei nemici, il ritorno dalla schiavitù babilonese, la nuova creazione, sono il contenuto dell’azione consolatoria di Dio in Is 40,66, la quale ha caratteristiche proprie. In primo luogo - come si è visto -, Dio non si limita a distribuire espressioni generiche o promesse consolatorie, ma interviene di persona, “con parola e con potenza”, cambiando in gioia la situazione desolata del suo popolo.
In secondo luogo, Egli porta avanti la sua azione, impiegando tutta la sua onnipotenza di Creatore. In terzo luogo, Egli unisce potenza e amore soprattutto quando si paragona ad una madre che consola. In ultimo Egli emerge come l’unico Principio, unica fonte della consolazione, mentre il profeta, quale suo messaggero, è suo umile, docile mediatore e collabora con il suo Signore, proclamando efficacemente il “lieto annuncio” dell’azione consolatrice divina.
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Alcuni quesiti.
- Conosco tutte le situazioni esistenziali che sono in necessità di “consolazione”? Sono in grado di cogliere anche le grida inespresse?
- Alla luce di quanto esposto sopra, chi è il profeta? E che funzione ha nel contesto di un’azione consolatoria?
- Si dà un profeta della consolazione che non sia contemplativo? E cos’è la contemplazione in un contesto dove si richiede la consolazione?
P. Antonio Magnante