Il tema scelto per questa trentesima Giornata, «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). La misericordia, infatti, è per eccellenza il nome di Dio, che esprime la sua natura non alla maniera di un sentimento occasionale, ma come forza presente in tutto ciò che Egli opera. È forza e tenerezza insieme. Per questo possiamo dire, con stupore e riconoscenza, che la misericordia di Dio ha in sé sia la dimensione della paternità sia quella della maternità (cfr Is 49,15).
Testimone sommo dell’amore misericordioso del Padre verso i malati è il suo Figlio unigenito. Quante volte i Vangeli ci narrano gli incontri di Gesù con persone affette da diverse malattie! Egli «percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).
Possiamo chiederci: perché questa attenzione particolare di Gesù verso i malati? Un pensatore del XX secolo, E. Lévinas, ci suggerisce una motivazione: «Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro». Quando una persona sperimenta nella propria carne fragilità e sofferenza a causa della malattia, anche il suo cuore si appesantisce, la paura cresce, gli interrogativi si moltiplicano, la domanda di senso per tutto quello che succede si fa più urgente. Come non ricordare, a questo proposito, i numerosi ammalati che, durante questo tempo di pandemia, hanno vissuto nella solitudine di un reparto di terapia intensiva l’ultimo tratto della loro esistenza, certamente curati da generosi operatori sanitari, ma lontani dagli affetti più cari e dalle persone più importanti della loro vita terrena?
L’invito di Gesù a essere misericordiosi come il Padre acquista un significato particolare per gli operatori sanitari. Penso ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, agli addetti all’assistenza e alla cura dei malati, come pure ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Cari operatori sanitari, il vostro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, trascende i limiti della professione per diventare una missione. Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Siate consapevoli della grande dignità della vostra professione, come pure della responsabilità che essa comporta.
Poi non si deve mai dimenticare la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità. Il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia.
Misericordiosi come il Padre, tanti missionari hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo con la costruzione di ospedali, dispensari e luoghi di cura. Sono opere preziose mediante le quali la carità cristiana ha preso forma e l’amore di Cristo, testimoniato dai suoi discepoli, è diventato più credibile. Penso soprattutto alle popolazioni delle zone più povere del pianeta, dove a volte occorre percorrere lunghe distanze per trovare centri di cura che, seppur con risorse limitate, offrono quanto è disponibile. La strada è ancora lunga e in alcuni Paesi ricevere cure adeguate rimane un lusso.