Questo giovedì 2 aprile l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha pronunciato la sua sentenza sul caso della valle di Cremisan. I giudici della suprema magistratura hanno accolto il ricorso degli abitanti del villaggio palestinese di Beit Jala, che si opponevano al tracciato previsto per la «barriera di sicurezza» israeliana nella vallata. Il muro di separazione non sarà costruito là dove lo aveva previsto l’esercito.
Dal 2006, gli abitanti della vallata - e in particolare 58 famiglie cristiane che rischiavano di vedersi private dei loro terreni agricoli, dai quali il muro le avrebbe separate – lottavano in sede giudiziaria contro le deliberazioni dei militari.
Alcuni mesi fa, l’Associazione Saint Yves, a tutela degli interessi delle suore salesiane – che a Cremisan gestiscono una scuola che rischiava di non poter più accogliere i suoi 400 allievi – aveva aderito al ricorso inoltrato all’Alta Corte.
Gli abitanti di Cremisan ce l’hanno fatta. In tutti questi anni sono stati sostenuti dai capi delle Chiese locali, incoraggiati da numerosi altri fedeli e amici che si sono mobilitati nella lotta per la giustizia e nella preghiera. C’è da dire, però, che la Corte, composta da tre giudici, ha accettato la tesi che un tracciato diverso potrebbe nuocere meno alla popolazione locale, ma ha altresì aggiunto che il tracciato alternativo proposto dai ricorrenti non le sembra comunque appropriato, perché non garantisce un sufficiente livello di sicurezza.
L’alternativa presentata ai giudici era stata sottoposta dalla Commissione Sicurezza e Pace, un’organizzazione israeliana composta da ex ufficiali delle forze armate.
La Corte ha rigettato anche un ulteriore tracciato proposto dal ministero della Difesa israeliano, che è stato invitato ad emendarlo. Uno dei giudici ha auspicato che il futuro tracciato permetta agli abitanti del villaggio di Beit Jala l’accesso alle due case religiose dei salesiani (i padri e le suore), che così si troverebbero entrambe sul versante palestinese, al di là del muro.
Comunque vada, qualsiasi nuovo tracciato dovrà essere previsto in un’apposita ordinanza militare che renda pubblica la decisione e consenta agli interessati, se lo vogliono, di opporre nuovamente appello.
Nel pomeriggio di giovedì, mentre per la Chiesa cattolica erano ormai cominciati i riti del Triduo pasquale, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha preso parte a una conferenza stampa appositamente convocata in mezzo agli ulivi di Cremisan, dove ogni venerdì, dal 2011 a questa parte, veniva celebrata una messa per il buon esito della vicenda.
Il presule, con tutti i membri dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts), si era espresso a più riprese sul caso Cremisan. Nell’ultimo comunicato, diffuso nel dicembre 2014, l’Aocts non aveva usato mezzi termini: «Il muro è voluto da Israele non per garantire la sicurezza dei suoi confini di prima del giugno 1967. Esiste semmai per proteggere gli insediamenti costruiti illegalmente su terreni confiscati negli anni Settanta, e per offrire opportunità di espansione agli insediamenti di Gilo e Har Gilo. Allo stesso tempo, il muro aliena i diritti fondamentali e la libertà della comunità cristiana di Beit Jala . L’Aocts sottolinea che la confisca delle terre e l’espansione degli insediamenti non contribuiscono alla pace nella regione. Si allarma inoltre per la continua emigrazione della comunità di Cremisan, costituita principalmente da cristiani, a seguito della costruzione del muro di separazione. (…) I vescovi sono favorevoli alla costruzione di ponti, non di muri». L’Aocts che aveva allertato anche la Santa Sede, si rivolgeva poi alla comunità internazionale, invitandola «ad agire immediatamente per proteggere l'integrità della valle di Cremisan sul versante palestinese».
Toni molto diversi quelli della conferenza stampa di oggi pomeriggio. Monsignor Twal ha detto: «Siamo tutti contenti. Hanno vinto tutti, anche Israele, che ha saputo mostrarsi sensibile verso la popolazione locale e i suoi diritti, oltre che verso la causa della pace».
Il patriarca si è rallegrato delle pressioni esercitate dagli abitanti della vallata e dalla comunità internazionale. Ha citato anche gli sforzi messi in atto dai vescovi americani e dalla Santa Sede. «Siamo riconoscenti – ha commentato – verso tutti coloro che hanno partecipato a questa lotta per la giustizia. È una vittoria per tutti, per i giudici israeliani, per le famiglie, per i religiosi, per la Chiesa cattolica, per l’Associazione Saint Yves, che agisce a nome del patriarcato latino. In un certo senso abbiamo anticipato la gioia della Pasqua».
Padre Ibrahim Shomali, che è stato parroco a Beit Jala dal 2009 al 2014 e ha sostenuto questa campagna per la giustizia, ha detto: «Siamo così felici! Siamo elettrizzati, perché la decisione è arrivata in un momento di dure prove per il popolo palestinese. Soffriamo molto, perché i salari non vengono pagati. Intanto questa decisione ci dona speranza. Continueremo a lottare in modo non violento per raggiungere il nostro obiettivo».
L’intento dichiarato dagli avvocati intervenuti alla conferenza stampa è che il futuro tracciato del muro coincida con la linea verde (segnata sulle mappe con l’armistizio arabo-israeliano del 1949) oppure si snodi sul suolo israeliano, e comunque non su terre palestinesi. In caso contrario sono pronti a ricorrere di nuovo in tribunale.