“L’essere cristiano non è affare di un momento, ma esige tempo”. “Solo la poca fede può sconfiggerci”. Sono parole e pensieri del teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer, ucciso 70 anni fa - il 9 aprile del 1945 - nel campo di concentramento nazista di Flossenbürg con l’accusa di aver partecipato ad una congiura contro il regime di Adolf Hitler. Sulla figura di Bonhoeffer, Amedeo Lomonaco ha intervistato il teologo e arcivescovo di Oristano, mons. Ignazio Sanna:
– Teologo, cristiano, contemporaneo. Sono le tre tracce che descrivono la personalità di questo grande uomo di Chiesa. Innanzitutto la sua teologia, perché ha dato impulso, veramente, al modo con cui la teologia è legata alla vita; è una teologia che interpreta, veramente, le dimensioni dell’esistenza cristiana. Bonhoeffer ha detto che occorrerebbe vivere, in modo cristiano, come se Dio in questo momento non ci guardasse. Quando Bonhoeffer parla di un cristiano adulto vuol dire che si dovrebbe essere capace di vivere in comunione con Dio come se Dio non ci fosse. E’ questa la maturità a cui vuole portare il cristiano. Che il cristiano sia veramente capace di ricorrere - la sua famosa espressione – non a un Dio “tappabuchi”, ma ad un Dio che sia invece intimo. E poi un altro tratto distintivo è quello di contemporaneo. Quale è un ideale che ci propone Bonhoeffer? Far sì che Gesù sia nostro contemporaneo.
– Quella di Bonhoeffer è stata una testimonianza di vita cristiana vissuta fino al martirio…
- Dice il medico che ha assistito alla sua esecuzione che aspettava in ginocchio con una compostezza eccezionale. Questo medico ha detto che in tantissimi anni della sua professione non aveva mai visto nessun uomo prepararsi alla morte con tanta compostezza interiore. Questo vuol dire che c’era nella sua persona una profonda vita interiore, una profonda fede e anche, in quel momento, una fede nella Risurrezione, nella Vita eterna.
– Ogni cristiano è chiamato ad una maturità ma anche la Chiesa - osservava proprio Bonhoeffer - è chiamata a diventare parte del mondo, a condividerne le lotte e le perplessità…
– E’ l’idea appunto di una Chiesa che non sia dirimpettaia, ma che sia coinvolta nelle vicende della gente: il dove della gente, il dove del mondo è il dove della Chiesa. Penso che questo sia anche un modo con cui Papa Francesco, attualmente, porta avanti questa realtà. Quando usa l’espressione di “non stare al balcone”, un po’ è questa idea di Bonhoeffer: dobbiamo coinvolgerci e lasciarci coinvolgere con la vita, con la fatica, con le sofferenze della gente. Addirittura il Papa dice: meglio una Chiesa che inciampa di una Chiesa che rimane chiusa e asfittica all’interno delle sue strutture.
– Quale peso ha oggi il pensiero di Bonhoeffer nel dialogo ecumenico?
– Vorrei che ce l’avesse un bel peso perché molte volte dove si trova una difficoltà a fare un cammino comune è nella visione cristiana dell’uomo, ovvero in una antropologia che sia ispirata veramente alla cristologia. Se noi ci lasciamo ispirare nel modo con cui noi concepiamo l’uomo, dalla stessa figura di Cristo, io direi che allora, da quel punto di vista, sia possibile trovare un denominatore comune per la difesa della dignità della persona umana. Se teniamo fisso lo sguardo su Cristo e meno sulle strutture e anche su norme di diritto canonico, probabilmente, siamo in grado di fare qualche passo in più per trovare motivazioni e ispirazioni su come camminare insieme.