Nel silenzio dell'Eucaristia, presieduta dal padre David Bambilikping Moke, Superiore Regionale, nella mattina del venerdì 12 aprile, si è aperta una finestra sulla prospettiva della Conferenza regionale, ispirata dalla saggezza del Maestro Gamaliele, Dottore della Legge. “Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli” (At 5, 38-39). Con queste parole evidenziano l'importanza di non opporsi alla volontà divina ma piuttosto di conformarcisi, come ha fatto Cristo nell'adempire fino in fondo la volontà del Padre per la nostra salvezza.

La Conferenza è iniziata l'8 e durerà fino al 15 aprile. Una volta terminato il ritiro guidato da padre Michelangelo Piovano, è stato presentato il regolamento e la condivisione delle comunità IMC in Congo: Somana, Neisu, Casa del Procure di Isiro e Bisengo Mwambe.

Il perdono e la riconciliazione

È buono condividere quello che il padre Gianfranco Testa ci ha lasciato in questi giorni come eredità a proposito del perdono e la riconciliazione. In breve, potremmo dire che perdonare significa rileggere l'offesa in un altro modo: “Quando qualcuno ci fa del male, dobbiamo scrivere questa offesa sulla sabbia, dove il vento del perdono e dell'oblio la cancellerà e la farà sparire. Invece quando ci succede qualcosa di grande, dobbiamo inciderlo nella pietra della memoria del cuore, dove nessun vento del mondo potrà cancellarla".

Perdonare significa ristabilire l’umanità di chi offende cambiando il nostro punto di vista. Non si tratta di giustificare o di diminuire il peso dell’offesa ma di cambiare il nostro atteggiamento nei suoi confronti perché possiamo accettala e continuare a vivere, oppure negarla e continuare a soffrire. Chi ci ha offeso non è un criminale, ma una persona che ha commesso un crimine; non è un ladro, ma una persona che ha commesso un furto... Vedendolo come una persona, umanizziamo colui che ci offende e capiamo che non è nato criminale o ladro...

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Il perdono serve a rompere il circolo vizioso dell'offesa e ci incoraggia a costruire una nuova immagine. Il processo di riconciliazione richiede memoria, verità, giustizia e impegno. Se la persona che mi ha offeso mi chiede perdono, bene; ma se non lo chiede, non importa! Ciò che veramente conta è il fatto che mi sono liberato da un circolo vizioso che mi impedisce di progredire nella mia storia e nella mia vita!

L’azione dannosa può lasciare cicatrici indelebili se noi non siamo capaci di elaborare la rabbia e prendere il cammino del perdono. Il risentimento e la vendetta paralizzino lo sviluppo degli individui e delle comunità.

È meglio abbracciare l'irrazionalità del perdono piuttosto che l'irrazionalità della violenza. Promuovere la cultura del perdono e della riconciliazione è la via sicura per la pace.

Il dialogo fraterno

20240414Congo3Nell'Eucaristia presieduta dal padre Rinaldo Do, Vice-Superiore Regionale, il sabato 13 aprile, è stato posto l'accento sui conflitti emersi nelle due letture: la distribuzione disuguale e l'agitazione del mare, dove il dialogo tra gli apostoli e il dialogo con Gesù portano a soluzioni adeguate. Non agiamo a nostro piacimento (autoreferenzialità) ma dialoghiamo tra di noi per affrontare i problemi che incontriamo nella vita, senza dimenticare Cristo che è sempre presente nella nostra barca per placare le onde agitate che sconvolgono le nostre vite missionaria.

La giornata prosegue con la condivisione avviata il giorno precedente sulle nostre comunità presentate dai partecipanti alla conferenza: la parrocchia di San Giuseppe di Arimatea, il Seminario Antonio Barbero, la parrocchia Mater Dei, la Direzione Regionale e l'Economato Regionale. Dopo ogni condivisione è stato dato del tempo per domande di chiarimento, contributi e reazioni da parti dei confratelli.

Nel pomeriggio si sono svolti i lavori di gruppo sui temi del Capitolo Generale per aggiustare il testo dell'Instrumentum Laboris e fare proposte per il programma della Regione.

* Padre Nhessy Nkulu Iland, Nestor, IMC, Segretario della Regione Congo.

 

Il 14 marzo si è celebrato il 21° anniversario della Fondazione per la Riconciliazione, creata da padre Leonel Narváez Gómez, sacerdote e sociologo della comunità dei Missionari della Consolata e attuale presidente di questa istituzione.

Si tratta di una fondazione senza animo di lucro che lavora per facilitare, progettare e realizzare proposte relative al perdono, insegnando in modo pedagogico gli strumenti chiave per facilitare la risoluzione pacifica dei conflitti.

Insegna anche come curare le ferite del cuore, prevenire e superare gli atti di violenza in qualsiasi circostanza della vita, aiutando a costruire la pace dalla famiglia alla sfera sociale.

"La sua missione si concentra nel contribuire alla pace e alla felice convivenza in Colombia e nel mondo, promuovendo la cultura, la pedagogia, la spiritualità della cura, del perdono e della riconciliazione. La pace non può essere raggiunta senza processi di perdono e riconciliazione. La Colombia è un Paese con ferite aperte e queste si traducono in ritorsioni e in maggiori gradi di violenza", afferma padre Leonel Narváez.

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La sede della Fondazione per la Riconciliazione a Bogotá, Colombia.

Per perdonare è necessario sentire la misericordia di Dio"

La Fondazione per la Riconciliazione organizza anche le Scuole di Perdono e Riconciliazione (Espere), un processo pedagogico per guarire le ferite, trasformare i ricordi ingrati, generare pratiche riparative e fornire strumenti per recuperare la fiducia.

In 20 anni di lavoro, Espere ha raggiunto più di 2 milioni di persone in 23 Paesi, dove la metodologia è stata adattata in popolazioni diverse.

"Dal 2003 sono stati formate persone incaricate di moltiplicare questo modello pedagogico in vari Paesi del mondo; sono state create reti di quartiere, e altre in parrocchie, aziende, scuole, università e famiglie. In questo modo abbiamo collaborato all'avvento della pace e al progresso delle comunità e delle persone". Sottolinea padre Narváez.

Il 21 settembre 2006, a Parigi, la Fondazione per la Riconciliazione ha ricevuto la menzione speciale del Premio UNESCO per l'Educazione alla Pace per l’impegno di promuovere il perdono e la riconciliazione lavorando all’educazione emozionale delle persone.

Nel 2007 ha ricevuto anche il premio "Ordine alla Democrazia" Simón Bolívar e poi, il primo settembre 2011, il premio "costruire la pace attraverso la metodologia dei centri di convivenza, pace e riconciliazione" oltre ad altri premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.

"Il tema del perdono e della riconciliazione è uno strumento di benessere, è il cuore del Vangelo. Sempre la grande opera che Gesù compie è quella di mostrare la misericordia del Signore, affinché impariamo a fare lo stesso con gli altri". Una pace senza perdono non durerà a lungo e non è sostenibile e lo stesso succede con la fede che non pratica la compassione perché il perdono viene dato a chi non lo chiede o a chi non lo merita". Ribadisce il sacerdote.

Fatti sul fondatore

Il presidente della Fondazione per la Riconciliazione, padre Leonel Narváez Gómez, IMC, è un filosofo e teologo dell'Università di San Buenaventura di Bogotá e un sociologo con titoli post-laurea dell'Università di Cambridge in Inghilterra e dell'Università di Harvard negli Stati Uniti.

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Padre Leonel Narváez Gómez, IMC,

È sacerdote religioso dei Missionari della Consolata, una comunità fondata a Torino, in Italia e ha trascorso i primi 10 anni di sacerdozio come coordinatore dello sviluppo sociale nella diocesi di Marsabit, in Kenya, lavorando principalmente con le tribù nomadi del deserto di Chalbi, al confine tra Kenya, Sudan ed Etiopia. Ha organizzato vaste campagne di alfabetizzazione e promozione umana, economica e culturale con queste comunità indigene. Nella Conferenza Episcopale del Kenya è stato responsabile della promozione dei diritti umani.

Poi, tornato in Colombia, dal 1990 al 2000 ha lavorato nel vicariato di San Vicente del Caguán - Puerto Leguizamo come responsabile dell'ufficio di pastorale sociale, dove ha attuato programmi di sostegno socio-economico nelle regioni del Caquetá e Putumayo attraverso il progetto Grafam (Fattorie amazzoniche).

È stato il fondatore del Centro di Ricerca e Formazione Amazzonica (Cifisam) e nel periodo conosciuto con il nome di “despeje” (quando si erano svolti dialoghi di pace fra la guerrilla delle Farc e il Governo in un territorio appositamente privato dalla presenza dello stato) si è impegnato nella commissione tematica di quel negoziato e ha collaborato alla realizzazione dei primi contatti con i rappresentanti del governo.

Tra i suoi scritti ricordiamo: Comparative conflicts nel capitolo The Colombian case (Tufts University. Boston, 2010). Manual de Perdón. (Bogotá, Colombia, 2006). Manual de Reconciliación (Bogotá, Colombia, 2006). La revolución del Perdón (Bogotá, Colombia, 2010) ed è stato editore della pubblicazione Filosofía política del Perdón y de la Reconciliación (Bogotá, Colombia, 2010).

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Parlare di perdono è parlare di riconciliazione

"Dobbiamo passare dalla bestia all'angelo, dal desiderio di vendetta al desiderio di compassione... i grandi fatti violenti si trovano nella famiglia, nella scuola, in mezzo alla strada e i bambini, fin da piccoli, imparano a conoscere violenza, il desiderio di vendetta, il regolamento di conti... la  vendetta è quasi una religione e questo è il più grande cambiamento culturale che noi colombiani dobbiamo fare". Il Missionario della Consolata Leonel Narváez Gómez, presto festeggerà i 50 anni di ordinazione sacerdotale.

Di seguito una intervista a Padre Leonel Narváez

* Fonte: El Catolicismo - Arcidiocesi di Bogotá, Colombia.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Gv 12,12-16)

È indescrivibile la gioia con cui è stato accolto il Sommo Pontefice papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo. Erano già passati diversi decenni dall’ultima volta che un papa aveva messo piede in questa nazione e l'ultimo era stato papa Giovanni Paolo II che questo paese l’aveva visitato nel 1985, quando si chiamava ancora Zaire. Per questo è più che comprensibile l’entusiasmo e l’aspettativa che ha circondato questa visita apostolica di papa Francesco della quale mi sembra opportuno sottolineare un prima, un durante e un poi. 

PRIMA. Va ricordato che questo viaggio era inizialmente previsto per il 2-5 luglio 2022 ma poi, come conseguenza dei vari problemi di salute del Vescovo di Roma, non è stato possibile realizzarlo. L’annuncio del rinvio si è abbattuto sul paese dove tutti stavano aspettando il Santo padre come la prima pioggia dopo la siccità: questo momento si stava aspettando come un dono del cielo; per l’occasione erano anche state composte canzoni come “Congo mobimba toyambi yo” (Tutto il Congo ti dà il benvenuto); erano state create diverse commissioni per dare un'accoglienza senza precedenti al successore di Pietro. Quando finalmente il papa è arrivato la mobilitazione è stata totale, nessuno è rimasto inattivo, il paese era in fermento come il giorno dell'ingresso di Cristo a Gerusalemme.

DURANTE. Quando il Papa dei poveri è arrivato è venuto a consolare i cuori di chi per anni non ha smesso di piangere i morti, con la speranza di vedere un giorno la presenza di un buon samaritano disposto a curare le ferite di questa popolazione impoverita. Il suo messaggio, che suona come uno slogan, dice "siamo tutti riconciliati per mezzo di Gesù Cristo". 

Francesco viene come Cristo con una parola di consolazione per tutti i congolesi senza fare nessuna distinzione. Anche il logo utilizzato in occasione della visita raccoglieva vari simboli: una mappa della Repubblica Democratica del Congo con i colori della bandiera nazionale il giallo, il rosso e il blu; il colore giallo indica le molteplici ricchezze che abbondano nel Paese e la natura esuberante; il rosso simboleggia il sangue versato dai suoi figli e dalle sue figlie e il blu il desiderio di pace. All'interno erano rappresentati elementi della biodiversità del Paese, una croce come segno di speranza, una palma e la presenza di esseri umani che simboleggiano la fratellanza. 

Con questa insegna tutta la popolazione si è alzata come un solo uomo per accompagnare il successore di Pietro dall'aeroporto al palazzo della nazione e in quel luogo il papa Francesco ha tenuto il primo discorso alla presenza del Presidente della Repubblica, i membri del governo, il corpo diplomatico, le autorità politiche e militari e la società civile. In sostanza, il Santo Padre ha invitato tutti i congolesi a risollevarsi con coraggio e coloro che li sfruttano a smettere di farlo, perché la vera ricchezza del paese, i veri diamanti, sono le sue persone così ingiustamente castigate.

L’evento più affollato è stata la celebrazione eucaristica del primo febbraio nella quale hanno partecipato più di un milione di persone tra cattolici, protestanti e musulmani. Nell’omelia il Papa ha insistito sul perdono che deve essere il criterio per una vera riconciliazione, una riconciliazione che è poi stata invocata anche nell’incontro con le vittime delle atrocità che si sono registrate soprattutto nella parte orientale del paese. 

Il 2 febbraio, Giornata mondiale della vita consacrata, il papa argentino ha voluto incontrare sacerdoti, religiosi e seminaristi: tutti sono stati invitati a non cedere alla mediocrità o alla superficialità; a cercare l’essenziale della consacrazione religiosa e quindi mettere Cristo al centro della vita per trasformarsi a sua immagine. In una cattedrale piena all’inverosimile i consacrati del Congo hanno rinnovato il loro impegno con la preghiera e la liturgia delle candele propria della festa della presentazione di Gesù al tempio.

L’incontro nello stadio dei Martiri, dedicato a giovani e catechisti, ha visto la partecipazione di più di ottanta mila persone. In questa occasione il Papa che ha esortato i giovani ad abbandonare la strada della corruzione. Per concludere l'ultimo incontro è stato dedicato ai vescovi della Conferenza Episcopale del Congo nel quale il vescovo di Roma ha invitato i pastori del Congo a imitare Cristo, il Buon Pastore che dà la vita, e a essere perseveranti nella testimonianza in ogni momento, anche quando le condizioni non possono essere più complicate.

DOPO. Le parole di Papa Francesco sono state come la pioggia che non ritorna in cielo senza avere fecondato la terra così come dice il profeta Isaia (cfr. Is 55,10). Nella sua visita apostolica ha gettato un seme nel cuore di tutti e, grazie al dono dello Spirito, osiamo credere che i frutti seguiranno. Molti hanno notato con gioia che la sua presenza è stata di conforto nelle situazioni difficili che il Paese sta attraversando; tutta l’umanità ha forse avuto occasione di capire ciò che non voleva capire e vedere ciò che non voleva vedere. Facciamo tutti, con un cuore solo, tesoro dei frutti di questa visita per un nuovo Congo.... tutti finalmente riconciliati in  Cristo Gesù.

Il Sud Sudan è una giovane nazione nata nel 2005 dopo un accordo di pace che ha messo fine a una guerra civile forse mai del tutto terminata e che serpeggia ancora nei 64 gruppi etnici che compongono il paese, spesso in guerra fra di loro.

Dopo 16 anni di lavoro missionario sono stato nominato vescovo della diocesi di Rumbek ma solo 10 giorni dopo questa nomina sono arrivati alla missione delle persone armate che sparando mi hanno gravemente ferito alle gambe.

In quell’occasione davvero ho corso il pericolo di essere una vittima in più di uno scontro che non risparmia nessuno, quasi sempre vittime anonime e mai degne dell'onore della cronaca. Lo stesso giorno del mio ferimento, per esempio, sono state uccise due giovani donne entrambe incinte... si trattava di una nuova vendetta. 

Spero soltanto che la brutta vicenda che mi ha avuto come protagonista serva per mettere in luce una delle tante guerre dimenticate, di cui nessuno parla, ma che sono altrettanto mortifere e continuano a causare uno stillicidio ininterrotto di vittime.

Dopo un intero anno dedicato alla riabilitazione lo scorso 23 marzo sono stato ordinato vescovo nella diocesi di Rumbek e con questo mio rientro in Sud Sudan vorrei in qualche modo annunciare alle persone che sono rinchiuse nel circolo vizioso della guerra che altri cammini sono possibili e ci si può sempre rialzare.

Oggi, e in modo speciale in Sud Sudan, l'evangelizzazione prende il nome di riconciliazione perché il vangelo non è possibile se non siamo capaci di guardare all'altro non come un nemico o un avversario ma come un fratello e una sorella. 

Ho avuto bisogno di perdonare per potere liberare me stesso e liberare anche quei due giovani che, manipolati nella loro ignoranza, hanno aperto il fuoco contro di me compiendo ordini ricevuti. Non erano loro che mi stavano rubando la vita, in realtà erano anch’essi vittime e stavano privando loro stessi di una umanità più grande.

Se fossi rientrato in diocesi come vescovo pero senza aver perdonato sarebbe stato certamente un disastro, non avrei potuto portare niente di buono a quella diocesi. 

Ho avuto modo di capire che non si può essere fratelli e farci prossimi se non si portano le stesse ferite. Senza il perdono non avrei mai potuto essere padre di quella gente.

* Christian Carlassare è missionario comboniano, sopravvissuto a un attentato il 25 aprile 2021 e un anno dopo consacrato vescovo  alla guida della diocesi di Rumbek dove lavorava.

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