Le vie della missione si fanno via crucis

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campo profughi del Sud Sudan

A pochi giorni di distanza colpiti due missionari accomunati dalla stessa origine geografica ed ecclesiale. Don Amedeo Cristino, fidei donum in Benin, già direttore del Cum di Verona, ha scritto questa nota: "Nadia, missionaria laica italiana assassinata in Perù; Christian, vescovo italiano gambizzato in Sud Sudan. Entrambi originari di Schio, uniti dalla stessa passione per il vangelo e dalla prossimità ai piccoli e ai poveri. Le vie della missione che si fanno via crucis. Non a caso l’invio missionario si fa con la consegna del crocifisso".

Christian Carlassare (Sud Sudan)

La notte tra il 25 e il 26 aprile, trenta minuti dopo la mezzanotte, due persone armate hanno fatto irruzione nella casa di Monsignor Christian Carlassare, missionario comboniano e nuovo vescovo di Rumbek in Sud Sudan, e gli hanno sparato alle gambe. Con 43 anni d'età l'8 marzo scorso è stato nominato vescovo di Rumbek da papa Francesco e l'ordinazione era programmata nella sua stessa nuova diocesi per il giorno 23 di maggio. Malgrado la giovane età è in Sud Sudan da più di 15 anni nei quali ha lavorato con diversi compiti. Dilaniato da una guerra civile che dura da anni questo stato che la conquistato la sua indipendenza solo nel mese di luglio del 2011 continua ad affrontare le sfide di una guerra che sembra non aver fine, contrappone varie etnie presenti nel suo territorio e contamina anche la chiesa, sembrerebbe infatti che fra i mandati di questo "avvertimento" diretto al futuro vescovo ci sono sacerdoti e laici della sua stessa futura diocesi. Pubblichiamo qualche stralcio di una intervista rilasciata dal futuro vescovo dalla clinica di Nairobi dove si sta recuperando dalle sue ferite.

(...) ha cominciato a sparare verso le gambe, sei o sette colpi dei quali quattro hanno raggiunto le mie gambe. Mi hanno poi raggiunto in stanza dove un colpo alla nuca mi ha fatto svenire. Sono stato assistito dai sacerdoti che mi hanno portato all'ospedale governativo assistito anche dai medici del Cuamm (medico con l'Africa) dove un medico locale e una dottoressa italiana si sono occupati subito di me pulendomi le ferite e preparandomi per il trasferimento a Nairobi.
Difficile sapere il motivo, certamente il motivo non era quello di un furto e il motivo non era quello di ammazzarmi altrimenti ci sarebbero riusciti facilmente. Lo vedo più come un atto intimidatorio.
Io persone queste persone, non so chi fossero ma certamente erano giovani, non credo abbiano portato a termine una azione così per qualche cosa contro di me dal momento che non avevamo nemmeno avuto modo di relazionarci, mi immagino che qualcuno gli abbia commissionati... perdono loro e perdono anche chi li ha spinti a far questo in nome anche della gente di Rumbek che erano lì fuori dall'ospedale e all'Aeroporto dicendomi "Padre, non abbandonarci, torna". Non volevano farmi partire perché non volevano perdere il loro vescovo, è un perdono che richiede unità, ascolto, capacità di risolvere i problemi cercando il bene di tutti.
(Ho lavorato molto per cercare la riconciliazione fra i diversi gruppi del Sud Sudan) ma questa azione che cerca la riconciliazione nazionale non è solo la mia azione, è l'azione di vescovi, de preti, dei religiosi presenti in Sud Sudan. Il messaggio del vangelo non può cambiare di fronte alle difficoltà che possiamo trovare. Questa situazione di croce ci chiama ad essere ancora più fedeli a questo messaggio sapendo che bisognerà anche qualche volta pagare il prezzo ed accettare le ferite.
Il nuovo governo di unità nazionale deve essere portato in tutti i territori del paese, a livello di clan e di economia del paese. Si tratta di promuovere un nuovo modello di cultura e di tipo di vita, partendo soprattutto dall'istruzione e togliendo di mezzo tante armi che purtroppo hanno raggiunto i civili.
Io personalmente ho sofferto queste quattro pallottole nelle gambe ma servo un popolo sudanese che ha sofferto molto più di questo e quindi chiedo al mondo comprensione e solidarietà con questo popolo africano, con i popoli di questo continente e anche con quelli del mondo intero Questi casi isolati di violenza, che purtroppo fanno molto rumore, non devono farci perdere la speranza o renderci ciechi di tante cose buone che ci sono nel mondo e in africa soprattutto. Si guarda all'Africa come un continente violento ma non lo è. Il Sudan è un paese solidale, un paese che si cura e che deve imparare ad attingere dai suoi valori profondi anche per superare le problematiche che vive. E questo vale anche per il resto dell'umanità.

Nadia De Munari (Perù)

Nadia aveva cinquant'anni ma era in America Latina da 26 come volontaria dell'Operazione Mato Grosso. Ha trovato la morte come conseguenza di una aggressione avvenuta in Nuevo Chimbote, sulla costa centro-settentrionale del Perù, nel cuore della notte del 21 aprile scorso. La mattina dopo alcune sue collaboratrici l'hanno ritrovata nella sua stanza gravemente ferita e, malgrado sia stata portata urgentemente a una clinica della capitale Lima, Nadia non ce l'ha fatta ed è morta la mattina del giorno 24. Da 10 anni stava dirigendo asili e mense comunitarie costruite dall'Operazione Mato Grosso che prestavano servizio a più di 500 bambini poveri e le loro famiglie. La sua morte va ad aggiungersi a quella di altri due missionari italiani di questa stessa associazione: il laico valtellinese Giulio Rocca colpito a morte dai guerriglieri di Sendero Luminoso nel 1992 e padre Daniele Badiali, missionario fidei donum della diocesi di Faenza ma che in Perù era già arrivato tanti anni prima proprio con l'Operazione Mato Grosso, ucciso nel 1997.
L'operazione Mato Grosso, fondata più di 40 anni fa da padre Ugo De Censi morto con 94 anni nel 2018 a Lima, ha il suo cuore proprio nelle montagne della Cordigliera delle Ande Peruviane. Lì ai 3200 metri di altezza di Chacas, tra la povertà e la desolazione della gente che si dedicava all'agricoltura di sussistenza e al lavoro in miniera, padre Ugo aveva avuto l'idea di insegnare mestieri quali la carpenteria, la scultura, l'artigianato. Oggi l'Operazione Mato Grosso - presente anche in Bolivia, Ecuador e Brasile - ha 50 missioni in Perù dove il lavoro è sostenuto dalle donazioni dei volontari in Italia. Nadia invece da circa 10 anni si era stabilita a Nuevo Chimbote precisamente per seguire le famiglie emigrate dalle montagne verso la costa.
Nel 2018, insieme alla volontaria Teresi Bossini, aveva raccontato in quest'intervista alla radio di Chimbote la sua ultraventennale esperienza missionaria in Perù. Una testimonianza che vogliamo riproporre oggi per scoprire quale ricchezza ci fosse nella sua scelta di lasciare la sua Schio (Vi) per donare fino in fondo la propria vita agli ultimi in una periferia del Perù.

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Un giornale locale da la notizia della morte di Nadie de Munari

Last modified on Wednesday, 05 May 2021 12:40

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